Page 185 - La cucina del riso
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Emilia Romagna




               Un ulteriore metodo di cottura è il riso al sugo: a metà cottura si estrae
               dall’acqua di cottura il riso, in una padella si unisce e si amalgama al sugo,
               quindi si finisce di cuocere. Una diversa interpretazione dell’uso e cottura
               del riso è il “timballo”, che in Emilia è espresso dalla celebre bomba di
               riso parmigiana nel quale, come condimento principale, viene utilizzata
               la carne del piccione, in precedenza cotto con funghi e odori vari.
                    In Emilia, è documentata una precisa data di riferimento a provare la
               presenza e la conoscenza del riso: è il 1475, quando il duca Gian Galeazzo
               Sforza dona, autorizzandone l’invio a Ferrara, al duca d’Este, un sacco di
               riso da lui definito in una lettera: “alimento estremamente interessante e
               meritevole di essere coltivato”, e dal quale ne ricaverà un equivalente pari
               a dodici sacchi. La coltivazione del riso, però, fino a tutto il 1600, procede
               a rilento, nonostante la presenza di ampi spazi adatti alla sua coltivazione,
               anzi, proprio questo fatto costituì il più importante ostacolo, perché c’era
               la diffusa credenza, e questo a tutti i livelli sociali, che questo cereale
               fosse il maggior responsabile della malaria, essendo il frutto di terreni
               paludosi e malsani.
                    La coltivazione del riso nelle zone vallive, che contornavano nella
               “Bassa”  i  confini  bolognesi  e  imolesi,  non  era  storicamente  una  coltu-
               ra predominante, e fu ulteriormente frenata il 7 maggio 1595, quando lo
               Stato Vaticano promulgò in Bologna la “Prohibitione del seminare risi”,
               motivata dal considerare il riso un eccitante, e anche portatore di malaria
               (in effetti le zone paludose e lacustri, come la Valle Orsona, ora in Comune
               di Molinella, o quelle vicine degli attuali Comuni di Budrio e Medicina,
               erano infestate da insetti e zanzare che affliggevano le popolazioni locali).
               Con la minaccia di pene severissime, non solo si proibivano il commercio
               e l’uso del riso in città e nelle campagne, ma si vietava anche di coltivarlo,
               se non intimando addirittura la distruzione forzata delle risaie del terri-
               torio. A tutto ciò si aggiungano il pregiudizio e una diffusa diffidenza da
               parte del popolino a mangiare il riso, per una vaga somiglianza dei chicchi
               stracotti, e vaganti nelle brodaglie preparate dalle donne di casa, con le
               larve della mosca.
                    Se ne deduce che quella del riso fosse una coltivazione di seconda-
               ria importanza, ne è prova il fatto che il famoso agronomo e gastronomo



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