Page 135 - La cucina del riso
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Trentino-Alto Adige




               Un prodotto d’importazione


                    Il  rapporto  dei  territori  trentini  con  il  riso  non  è  antico;  con  ogni
               probabilità il concilio di Trento è un momento storico determinante per la
               conoscenza della preziosa cariosside di questa pianta delle Graminaceae, nota
               con il nome scientifico linneiano di Oryza sativa. È impossibile pensare che
               possa essere entrato nella cultura alimentare nei pochi decenni che separano
               l’apertura dei lavori conciliari dalla prima notizia che documenta l’esistenza di
               una risaia in pianura padana, nel 1468, o dalla lettera di Gian Galeazzo Sforza,
               duca di Milano, che nel 1475 prometteva al duca di Ferrara l’invio di dodici
               sacchi di riso definendolo meritevole di essere coltivato.
                    Il  riso,  in  questa  prima  fase  d’introduzione  della  sua  coltivazione  in
               ambito italiano, non poteva che essere una preziosa rarità; ma è altrettanto
               evidente che il consesso di alti prelati, legati, dignitari e nobili, che durante
               il XVI secolo, con stuoli di cuochi e cucinieri al seguito, si concentrò attor-
               no alla corte principesco-vescovile di Trento, non ha certo ignorato la novità.
               Nemmeno si deve dimenticare la documentata esistenza di diritti feudali della
               mensa vescovile trentina in quel di Mantova, a Castel d’Ario, una zona che
               successivamente potrebbe avere rappresentato fonte di approvvigionamento.
                    Il riso non era certo sconosciuto prima di quei tempi, ma fin dai secoli di
               Roma imperiale si trattava di un costoso prodotto d’importazione, la cui diffusa
               conoscenza nel mondo mediterraneo, nonostante singole descrizioni preceden-
               ti, era da attribuire alle conquiste di Alessandro Magno e la cui commercializ-
               zazione si sviluppò in epoca ellenistica. Rimase tuttavia elemento costoso e il
               suo uso alimentare non è documentato dagli autori classici del mondo latino,
               dove invece è impiegato come medicamento. Plinio e Dioscoride lo ricordano;
               Orazio ne parla di come valido decotto; Celso, nel suo De medicina, lo tratta
               come un succo prezioso (boni suci sunt triticum, siligo, halica, oryza), mentre
               Galeno consiglia il riso in diete particolari. Indicativa di un prezzo elevato e
               della rarità del prodotto è la presenza dell’amulum oryzae nella preparazio-
               ne di due complesse salse di Apicio, dove è evidente l’uso dell’amido di riso
               come di un prezioso sistema per legare e dare una consistenza particolarmente
               cremosa. E, si sa, il gastronomo romano non era certo specchio di una cucina
               corrente e popolare (cfr. G. Gentilini, I cibi di Roma imperiale, Milano 2004).



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