Page 140 - La cucina del riso
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Trentino-Alto Adige




                 - desideri, collegamenti, anche “sogni” - di una terra nella quale i confini
                 gastronomici si sovrappongono spesso a quelli linguistici. Dove le cucine si
                 stratificano in aree di influenza. In questo senso, il “confine di Salorno” fra
                 lingua italiana e lingua tedesca, fra area adriatico-mediterranea e dimensione
                 germanica,  pur  con  le  inevitabili  sovrapposizioni  e  contaminazioni,  segna
                 anche il limite dell’uso del riso di provenienza veneta e padana, così come è il
                 discrimine fra i canederli sudtirolesi, chiamati “knödel”, e la polenta trentina
                 che si ottiene seguendo una tecnica di preparazione celtica prima e latina poi,
                 ma oggi prevalentemente con il mais di antica origine sudamericana.



                 Cibo Costoso e prezioso


                     Il riso non è stato, in origine, un cibo “popolare” nel Trentino, anche
                 se - a partire dall’età barocca - si è gradatamente diffuso via via che una
                 società, polarizzata in classi nobiliari e contadine, lasciava spazio ad una
                 pervasiva borghesia in espansione, che influenzava, con gusti e abitudini, gli
                 ambienti in cui viveva e operava. Il riso è entrato nella consuetudine delle
                 famiglie borghesi mano a mano che queste - per commerci, studi, mansioni
                 e frequentazioni - venivano a contatto con i centri urbani del Veneto e del
                 Po, che il riso esportavano e coltivavano. Successivamente, l’emigrazione
                 stagionale degli artigiani delle vallate alpine (“moléti”, “parolòti”, maran-
                 goni, spazzacamini) nei centri padani completò la conoscenza e la diffusio-
                 ne di questo cibo costoso e, almeno inizialmente, anche prezioso.
                     Non stupisce, quindi, che in principio il riso venisse impiegato preva-
                 lentemente nelle minestre. Cibo dalla grande conservabilità e trasportabilità,
                 poteva impreziosire le zuppe serali, rendendole appunto diverse, per consi-
                 stenza, sapori e richiami lontani, “dalla solita minestra”. È una costante che si
                 ritrova anche per altri cibi. Per un territorio di montagna, dalle risorse povere,
                 i prodotti delle ricche pianure venete e lombarde (le più ubertose d’Europa,
                 come ben sapevano gli eserciti che le percorrevano e le saccheggiavano) ave-
                 vano un fascino di diversità che ne accentuava la qualità. La pianura offre i
                 cibi che la nascente borghesia, appunto, introduce per sottolineare i momenti
                 importanti, di festa. Così i cotechini e gli zamponi, a fronte delle più rustiche



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