Page 141 - La cucina del riso
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Trentino-Alto Adige




               lucaniche, o i ravioli, i tortellini, le tagliatelle. Così il riso, usato per imprezio-
               sire le minestre o per completare, arricchendoli, i prodotti locali di più facile
               reperibilità, ma anche di limitata conservabilità, come il latte o le uova.
                    Sotto questo profilo, la descrizione dei piatti di riso, nei ricordi d’antàn,
               potrebbe rivelarsi quasi la narrazione di un tempo perduto, del “mondo di
               ieri” prima del grande exploit dei risotti. Erano le sale da pranzo, i tinelli
               casalinghi, in cui la portata in tavola di un piatto di riso veniva sottolineata
               con immancabili e compiaciuti commenti, come cosa non straordinaria, ma
               meritevole comunque di un accenno. Ricorda sempre de Battaglia che uno
               dei piatti preferiti del nonno (nato nel 1870) era indubbiamente il riso alla
               veneta, semplicissima minestra di verdura e riso in brodo, un po’ spessa, di
               cui non mancava mai di sottolineare l’attributo “veneto” d’origine, quasi
               fosse una garanzia di qualità o un blasone di nobiltà. Quell’accenno richia-
               mava non solo la bontà del piatto, ma lontane esperienze di gioventù negli
               studi a Padova, o nei primi impieghi a Pordenone. L’incontro col riso, le
               sere d’estate, avveniva anche solo attraverso il riso bollito, magari condito
               con l’uovo, come già ricordato. Ma probabilmente era “risi e bisi”, con i




                                Pasticcio con farsa di riso

                    fate cuocere del riso nel brodo descritto pei Maccheroni, oppure in un brodo
                    di carne secondo il solito, ma che sia cotto spessetto; poscia levatelo dal fuo-
                    co, e quando sarà tiepido, allora formate una farsa ossia pastume con uova, e
                    fórmaggio lodigiano grattato, e con questo pastume coprite il fondo e l’intorno
                    della cazaruola, che prima avrete unta con butirro fresco; indi metteteci den-
                    tro un intingolo di latteccini, fegati di pollame, presciuto, tartufole, sponziole,
                    funghi, petrosemolo, basilico, majorana, e butirro fresco; ma questo intingolo
                    deve esser messo dentro nella seguente maniera, cioè un suolo d’intingolo,
                    ed un suolo di pastume di riso, continuando così fino che avrete terminato
                    l’intingolo ed il detto pastume, quale deve resear di sopra a motivo, che deve
                    servire come se fosse un foglio di pasta; poscia fatelo cuocere con fuoco sotto
                    e sopra, oppure nel forno, che diverrà migliore: avvertite di porre le tartufole
                    nell’intingolo solo nel fine, e quando siete per levarlo dal fuoco.
                    don felice Libera, L’arte della cucina, ricette di cibi e di dolci. Manoscritto
                    trentino di cucina e pasticceria del XVIII secolo





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