Page 110 - La cucina del riso
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Lombardia




                 COLTURA E SOCIETÀ


                     Il riso d’Oriente, reso noto dagli Arabi in Sicilia e dai mercanti vene-
                 ziani in alta Italia, restò sino all’età moderna di uso limitato, come medica-
                 mento venduto dagli speziali a caro prezzo. Solo a metà del 1400 le risaie,
                 sull’esempio di Salerno e dei paduli pisani, si diffusero nel Ducato di Milano
                 che si estendeva allora oltre il Po, sino ad Alessandria e al Novarese, oltre il
                 Ticinese. In Lomellina l’impulso venne dagli Sforza e in particolare, alla fine
                 del secolo, da Ludovico il Moro nella tenuta della Sforzesca, presso Vigeva-
                 no. Nel 1475 Galeazzo Maria aveva inviato riso da semina a Ercole d’Este,
                 affinché se ne sperimentasse a Ferrara la resa (da 1 a 12 più alta rispetto a
                 ogni tipo di granaglia). Leonardo da Vinci, “ingegnere ducale”, fu incaricato
                 di conciliare esigenze secolari di navigazione e difesa, irrigazione e industria
                 (tradotte in una fitta rete di canali, rogge dei mulini, chiuse, fossati), con le
                 necessità di bonifica delle paludi e di distribuzione d’acqua alle risaie. Mutò
                 quindi il paesaggio di vaste aree incolte o poco coltivate, fatte di acquitrini,
                 brughiere, boscaglie, dossi via via livellati a formare bacini digradanti, fra
                 cascine e argini alberati, che venivano allagati con la semina del riso per tor-
                 nare asciutti al momento del raccolto. Nel 1517 il riso compariva saldamente
                 fra le colture dell’abbazia di Chiaravalle, a coronamento del contributo che i
                 grandi monasteri avevano dato allo sviluppo agricolo del contado.
                     A Cremona - signoria degli Sforza - e a Mantova - ducato dei Gonzaga -
                 come nel vicino Veronese della Serenissima, terre ricche di acque, di fiumi e
                 risorgive, la coltura del riso si avviò lentamente dalla fine del 1400 in poi. Nel
                 Catasto dello Stato di Milano voluto da Carlo V, a metà del 1500, si calcolava
                 un perticato di 50mila ettari coltivati a riso: Cremona contava per soli 140
                 ha, lo 0,10% della superficie agraria, il 2% nel Lodigiano, l’8% nel Vigeva-
                 nese, il 9% nel Novarese. Nella seconda metà del Cinquecento, Cremona era
                 ancora obbligata a importare riso dal Pavese. La produzione si estese verso
                 la metà del 1600 nell’area settentrionale delle risorgive, poi lungo l’Adda e
                 l’Oglio. L’area coltivata, inferiore ai 500 ha nel 1700, superò i 3000 ha dopo
                 l’Unità d’Italia, ma diminuì poi sino a scomparire nei primi decenni del ’900.
                 A Mantova, risaie si svilupparono a Ostiglia e Castel d’Ario (dal 1524), oggi
                 distribuite lungo una “via del riso” che è motivo di propaganda per il Vialone



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