Page 15 - Poemi conviviali
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Così scoppiò nel tremulo meriggio
il vario squillo d'un'aerea rissa:
e grande lo stupore era de' lecci,
ché grande e chiaro tra la cetra arguta
era l'agone, e la vocal fontana.
Ogni voce del fonte, ogni tintinno,
la cava cetra ripetea com'eco;
e due diceva in cuore suo le polle
forse il pastore che pascea non lungi.
Ma tardo, al fine, m'incantai sul giogo
d'oro, con gli occhi, e su le corde mosse
come da un breve anelito; e li chiusi,
vinto; e sentii come il frusciare in tanto
di mille cetre, che piovea nell'ombra;
e sentii come lontanar tra quello
la meraviglia di dedalee storie,
simili a bianche e lunghe vie, fuggenti
all'ombra d'olmi e di tremuli pioppi:
Allora io vidi, o Deliàs, con gli occhi,
l'ultima volta. O Deliàs, la dea
vidi, e la cetra della dea: con fila
sottili e lunghe come strie di pioggia
tessuta in cielo; iridescenti al sole.
E mi parlò, grave, e mi disse: Infante!
qual dio nemico a gareggiar ti spinse,
uomo con dea? Chi con gli dei contese,
non s'ode ai piedi il balbettìo dei bimbi,
reduce. Or va, però che mite ho il cuore:
voglio che il male ti germogli un bene.
Sarai felice di sentir tu solo,
tremando in cuore, nella sacra notte,
parole degne de' silenzi opachi.
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