Page 14 - Poemi conviviali
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Cieco non ero, e ciò pascea con gli occhi,
che rumino ora bove pazïente;
e il fior coglievo delle cose, ch'ora
nella silenzïosa ombra mi odora.
Era per aspri gioghi il mio cammino,
degli uomini vetusti, antelunari.
Nacquero sopra le montagne nere,
che ancor la luna non correa su quelle:
nacque dopo essi, e palpitò per loro
gemiti strani. Era un meriggio estivo:
io sentiva negli occhi arsi il barbaglio
della via bianca, e nell'orecchio un vasto
tintinnìo di cicale ebbre di sole.
Ed ecco io vidi alla mia destra un folto
bosco d'antiche roveri, che al giogo
parea del monte salir su, cantando
a quando a quando con un improvviso
lancio discorde delle mille braccia.
Entrai nel bosco abbrividendo, e molto
con muto labbro venerai le ninfe,
non forse audace violassi il musco
molle, lambito da' lor molli piedi.
E giunsi a un fonte che gemea solingo
sotto un gran leccio, dentro una sonora
conca di scabra pomice, che il pianto
già pianto urgea con grappoli di stille
nuove, caduchi, e ne traeva un canto
dolce, infinito. Io là m'assisi, al rezzo.
Poi, non so come, un dio mi vinse: presi
l'eburnea cetra e lungamente, a prova
col sacro fonte, pizzicai le corde.
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