Page 8 - Odi e Inni
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delle compagne grida. Silenzio.
                         Ne’ cupi sconforti

                         non voce, che voci di morti.



                         Da me, da solo, solo con l’anima,
                         con la piccozza d’acciar ceruleo,
                         su lento, su anelo,

                         su sempre; spezzandoti, o gelo!



                         E salgo ancora, da me, facendomi
                         da me la scala, tacito, assiduo;



                         nel gelo che spezzo,
                         scavandomi il fine ed il mezzo.



                         Salgo; e non salgo, no, per discendere,
                         per udir crosci di mani, simili

                         a ghiaia che frangano,
                         io, io, che sentii la valanga;



                         ma per restare là dov’è ottimo
                         restar, sul puro limpido culmine,

                         ouomini; in alto,
                         pur umile: è il monte ch’è alto;



                         ma per restare solo con l’aquile,
                         ma per morire dove me placido

                         immerso nell’alga
                         vermiglia ritrovi chi salga:



                         e a me lo guidi, con baglior subito,
                         la mia piccozza d’acciar ceruleo,

                         che, al suolo a me scorsa,
                         riflette le stelle dell’Orsa.

















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