Page 5 - Odi e Inni
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deve intervenire in questa virtù che di tutte è la più difficile, sì che i teologi non la concepiscono se
        non come grazia; deve essere presente di continuo, l’intelletto, se ha da sottomettersi ed assenti-
        re. Ora si può fare della fede un segnacolo in vessillo, e si può dire alle genti, che seguano quella
        bandiera ciecamente, senza chiedere che cosa ella rappresenti? Non si può. L’intelletto, non si
        deve riporre, quando si tratta di fede, come si fa riporre, quando si tratta di milizia e di battaglia.

          A dire il vero il più di quelli che seguono quella bandiera, sono più lontani dalla fede che quella
        bandiera vuol significare, che il più di quelli che si dinegano a seguirla; perché questi hanno vivo
        nello spirito l’elemento essenziale della fede, cioè l’atto della ragione. Non è impossibile, non è
        improbabile, non è insolito, che questi, dubitando e indagando, provando e riprovando, arrivi-
        no al punto estremo, in cui l’anima offra all’infinito mistero le sue vane ansie, e creda. Ora qual
        divisione è codesta che si crea nel genere umano, di uomini da una parte, che rispondendo Sì,
        mostrano di esser per il No, e di uomini dall’altra, la cui negazione può, anzi deve, essere il primo
        articolo del credo?

          La lotta? C’è sempre stata la lotta tra chi lavora e chi gode il frutto del lavoro altrui. La storia
        sembra anzi essere mossa dalla aspirazione di star bene in chi sta male, e di star meglio in chi
        sta bene. Sembra, non è; o meglio, non è mossa da quella sola energia. Oltre gli uomini occupati
        continuamente nella rissa della esistenza, vi sono quelli che vi si mettono in mezzo per sedarla.
        Oltre gli uomini ossessi dal dèmone della cupidigia e della rivalità, vi sono quelli che vogliono
        gettare dal cuore ogni acre fermento di contesa. Oltre gli uomini che non aspirano se non a star
        bene o meglio, vi sono quelli che non anealano se non a far bene, a fare, ogni giorno, ogni secolo,
        ogni millennio, meglio. Sono questi i veri uomini; di questi si compone la vera umanità, sempre,
        vogliam credere, progrediente nel dissomigliare alle bestie. Or bene, questi con le parole e più coi
        fatti e, sopra tutto, con l’esempio, hanno sempre cercato di disarmare i rapaci e di aiutare gli op-
        pressi; e sono dunque nella lotta, ma non della lotta. Sono pacieri, non guerrieri. Essi non hanno
        altro fine, o almeno, quando anche sembri il fine sia diverso o non ne sia alcuno, non ottengono
        altro effetto, che di promuovere l’umanità del genere umano. Di questi bisogna essere: contro,
        cioè, la divisione, non o di qua o di là.

          Ma tristo a chi professa, non dico che adempisca, i principii che io dico! Credereste voi che sia
        bella la sorte di chi è terzo in una rissa, o sia mezzo tra due eserciti schierati in battaglia? Vedete
        il caso mio: quelli di cui ho cantata la comunione, mi scomunicano; quelli per cui ho gridato Pace!
        Mi chiamano chierico. Ebbene? Dicevo a principio, Homo sum, con le parole d’un pagano: dirò in
        fine, con le parole del vangelo, Ecce Homo! Lo so, lo so, questo è il modo, non di piacere a tutti,
        ma di non piacere a nessuno!


          A nessuno? A voi, sì: a voi, giovinetti e fanciulle, a voi, che, di qualunque età siate, o serbate o
        ricuperate la santa giovinezza, la cara libertà dell’anima!

          E come vorrei che le mie poesie, oltre che fatte per voi, fossero anche degne di voi! E quante più
        di numero vorrei che fossero! Io sento di non avervi ancor detto nulla di ciò che avevo per i vostri
        cuori. E temo di andarmene, volgendomi disperatamente addietro per dirvi ciò che non dissi, e che
        è, sempre e ancora, il tutto. Bisogna affrettarsi, ora. Gli anni non vengono, ora: vanno.

          Pochi giorni sono, io, ritornato in questa mia buona madre Bologna, mi trovai d’un subito così
        ingrossate e moltiplicate nel pensiero le difficoltà d’un assunto, il quale tuttavia io non avevo
        accettato se non a molto mal in cuore, così d’un tratto impoverite e annichilite le mie attitudini,
        che invilii tutto e quasi disperai. Mezzo secolo di mia vita era da pochi giorni trascorso; e che cosa
        avevo fatto sino allora di veramente buono e durevole? E in quelli anni, ormai così pochi, che forse
        mi avanzavano, necessariamente meno vivi e vitali, che cosa di meglio e di più avrei potuto fare?
        Tristo e nero, or preceduto e or seguito da un mio fido compagno, un mattino io presi per un’erta
        solitaria, poco lontano da casa mia. Guardavo i ciottoli. Di lì a poco alzai gli occhi: una grande


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