Page 130 - Jane Eyre
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più umile domanda; implorai un cambiamento di posi-
           zione; anche questa domanda parve perdersi nello spa-
           zio.
              Allora, quasi disperata, gridai:
              — Accordatemi almeno un'altra servitù.
              Qui la campana della cena si fece udire e scesi.
              Fino al momento in cui le educande non furono cori-
           cate, non potei riprendere il corso dei miei pensieri, poi
           una maestra, con la quale dividevo una camera, me ne

           stornò con un diluvio di parole.
              Desideravo che il sonno le imponesse silenzio e mi
           pareva che avrei trovato una soluzione al problema, se
           soltanto avessi potuto riflettere un poco a ciò che mi
           preoccupava quando ero appoggiata alla finestra.
              La signorina Gryce incominciò finalmente a russare;
           era una forte gallese e fino a quel momento quella musi-
           ca mi era stata noiosa, ma quella sera le prime note furo-
           no accolte da me con piacere; ero al sicuro da ogni in-
           terruzione e i miei pensieri, quasi svaniti, si rianimarono
           subito.
              — Un'altra servitù, — dicevo sottovoce, — quella pa-
           rola deve avere per me un significato perché non suona
           dolce al mio orecchio come quelle di libertà, di felicità,
           suoni deliziosi, ma vani per me, fuggitivi e senza senso.
           Volerli ascoltare, è lo stesso che perdere il tempo; ma
           servitù è altra cosa, e val la pena che ci si pensi. Ognuno
           può servire; l'ho fatto per otto anni qui.






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