Page 10 - Jane Eyre
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un mare di onde e di spuma, alla nave gettata su una co-
           sta desolata, alla fredda e fantastica luna, che, spingendo
           i suoi raggi luminosi attraverso un cumulo di nubi, illu-
           minava appunto un'altra scena di naufragio.
              Io non potrei dire quale sentimento animasse il tran-
           quillo e solitario cimitero, con le sue lapidi, le sue can-
           cellate, i due alberi e l'orizzonte limitato dal muro rotto
           e la luna crescente che indicava l'ora della sera.
              Le due navi, in quel mare immobili, mi parevano due

           fantasmi marini.
              Sfogliai sollecitamente la figura che rappresenta il
           mortale nemico, inchiodando il fardello sulla schiena
           del ladro; era per me un soggetto di terrore, come quella
           creatura con le corna, seduta sullo scoglio, che spiava la
           lontana turba che circondava la forca.
              Ogni incisione mi narrava una storia, spesso misterio-
           sa per la mia intelligenza poco sviluppata e per il mio
           incompleto   sentimento,   ma   sempre   interessantissima;
           così interessante come i racconti che ci faceva Bessie
           nelle serate invernali quando era di buon umore e quan-
           do, dopo aver portato la tavola da stirare nella stanza dei
           bambini, ci permetteva di sedersi vicino a lei.
              Allora, pieghettando le sciarpe di trina della signora
           Reed e le cuffie da notte, ci riscaldava la fantasia con
           narrazioni di amore e di avventure, tolte dai vecchi rac-
           conti di fate e dalle antiche ballate, o, come mi accorsi
           più tardi, da Pamela e da Enrico, conte di Mareland.
              Così, avendo Borwick sulle ginocchia, ero felice, feli-
           ce a modo mio. Temevo soltanto una interruzione, che


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