Page 9 - Jane Eyre
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che lunghe e lamentevoli ventate respingevano sibilan-
           do.
              Tornavo allora al mio libro; era La storia degli uccelli
           dell'Inghilterra, scritta da Berwich. In generale non mi
           occupavo   del   testo,   nondimeno   c'erano   delle   pagine
           d'introduzione che non potevo lasciar passare inosserva-
           te, malgrado la mia gioventù.
              Esse parlavano di quei rifugi degli uccelli marini, di
           quei promontori, di quelle rocce deserte abitate da essi

           soli, di quelle coste della Norvegia sparse d'isole dalla
           più meridionale punta al capo più nordico, là dove "l'O-
           ceano Polare mugge in vasti turbini attorno all'isola ari-
           da e malinconica di Tule, là ove il mare Atlantico si pre-
           cipita in mezzo alle Ebridi tempestose."
              Non potevo neppure saltare la descrizione di quei pal-
           lidi paesaggi della Siberia, dello Spitzberg, della Nuova-
           Zembla, dell'Islanda, della verde Finlandia!
              Ero assorta nel pensiero di quella solitudine della
           zona artica, di quelle immense regioni abbandonate, di
           quei serbatoi di ghiaccio, ove i campi di neve accumula-
           ti durante gli inverni di molti secoli, ammucchiano mon-
           tagne su montagne per circondare il polo e vi concentra-
           no tutti i rigori del freddo più intenso.
              Mi ero formata un'idea tutta mia di quei regni pallidi
           come la morte, idea vaga, come sono tutte le cose capite
           per metà, che fluttuano nella testa dei bimbi; ma quella
           che mi figuravo produceva in me uno strano effetto.
              In quella introduzione il testo, accordandosi con le fi-
           gure, dava un significato allo scoglio isolato in mezzo a


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