Page 60 - Oriana Fallaci - La vita è una guerra ripetuta ogni giorno
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costare anche cinque milioni.

               Per costoro, quindi, non è un conforto sapere che i vietcong e i nordvietnamiti
          non sono corrotti sebbene taglieggiassero i proprietari delle piantagioni per lasciarli
          in pace ed esigessero tasse in denaro o in riso dai contadini. Li sconvolge la certezza
          che  nessuna  mancia  li  potrà  salvare  e  si  chiedono:  quanti  saranno  arrestati  dai

          comunisti,  quanti  processati,  quanti  giustiziati?  Ieri  è  venuta  a  trovarmi,  con  la
          sorella, una ragazza che conosco dal 1967. Piangeva. Piangendo mi ha supplicato di
          trovarle  un  marito.  Italiano,  americano,  francese,  etiopico:  non  importava.  A  lei
          serviva  soltanto  un  certificato  di  cittadinanza  straniera  per  scappar  via;  una  volta
          all’estero avrebbe divorziato. «Tuyet,» le ho risposto «di che ti preoccupi? Tu non
          sei  mai  stata  una  collaborazionista.»  Allora  s’è  messa  a  pianger  più  forte  e  ha
          spiegato  che  la  sua  famiglia  fuggì  nel  1954  da  Hanoi:  anche  lei  è  indiziata.  Per
          consolarla  ho  replicato  che  capivo  la  sua  paura  delle  cannonate,  non  quella  dei

          comunisti:  non  avevano  alcun  interesse  a  presentarsi  come  giustizieri  affamati  di
          castigo, al contrario gli serviva suscitar simpatia, dimostrare che credono davvero
          nella riconciliazione. Ma in cuor mio non ero sicura al mille per cento di ciò che io
          andavo  dicendo.  Con  la  sua  voce  di  gelo  e  i  suoi  occhi  di  marmo,  il  colonnello
          Giang era stato più onesto: la caduta di Saigon avrebbe portato a una resa dei conti.

          E le rese dei conti non avvengono mai senza sangue, senza dolore: figuriamoci poi in
          questa parte del mondo così abituata al sangue e al dolore.
              […] Lo disse anche Kissinger, un mese fa, con una frase che passò inosservata:
          «Ormai  il  destino  dell’Indocina  è  in  altre  mani».  E  i  combattimenti  riprendono,
          disordinati, inutili, intorno a una Saigon dove i boati si fanno sempre più vicini e
          dove gli angeli vendicatori giungeranno tra poco, con la loro voce di gelo, i loro

          ocelli di marmo, la loro spietata incorruttibilità, a dare una bella ripulita e a punire.
          È davvero la fine.   12
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