Page 56 - Oriana Fallaci - La vita è una guerra ripetuta ogni giorno
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«Non chiedere chi ha vinto: non ha vinto nessuno. Non chiedere chi ha perso: non ha
                           perso nessuno. Non chiedere a cosa ha servito: non ha servito a nulla.»






          È la fine. Sono davvero gli ultimi singulti di questa guerra che fu la guerra del nostro
          tempo  sebbene  si  svolgesse  in  un  Paese  così  lontano  e  di  cui  per  secoli  s’era
          ignorato  perfino  il  nome:  Vietnam.  Questa  guerra  fratricida,  interminabile,
          esasperante, che di dieci anni in dieci anni sembrava concludersi e poi riprendeva,
          con più ferocia di prima, allargandosi oltre confini che ora si chiamavano Laos e ora
          Cambogia, infetta quanto una piaga infetta. Caduta Phnom Penh, agli ultimi singulti
          non  manca  che  l’ultimo  grido:  la  caduta  di  Saigon.  Quando  lo  udiremo?  Stanotte,

          domani, dopodomani, tra una settimana? Nessuno parla più di mesi e pochissimi di
          settimane. Come angeli vendicatori i nordvietnamiti si avvicinano alla capitale, la
          stringono in una morsa che non offre speranza a chi è dentro, e sono gli stessi sulle
          cui città fino a ieri si scaricavano tonnellate di bombe: per frantumargli il morale,
          per  estinguergli  l’ostinazione.  Sono  gli  stessi  che  laceri,  decimati,  esausti,
          costrinsero i francesi a chieder la pace nel 1954, gli americani a cedere nel 1972. A

          decine di migliaia sono scesi da Hanoi per aggiungersi ai centomila (o duecentomila
          o trecentomila?) che s’erano installati nel Sud dopo i patti di Parigi. Hanno portato
          una  quantità  enorme  di  armi  appena  consegnate  dalla  Cina  e  dalla  Russia:  carri
          armali  T54,  cannoni  pesanti,  lanciarazzi,  mitraglie,  mortai.  Hanno  portato,
          soprattutto, quella fede cieca senza cui le armi non servono a nulla. Con le une e con
          l’altra hanno divorato, in un mese, tre quarti del Sud Vietnam. E la gente si chiede:
          cosa  aspettano  a  dare  il  colpo  mortale  a  Saigon?  La  loro  morsa  è  ormai  un  arco

          d’acciaio che chiude qualsiasi uscita da nord-est a nord-ovest.
               Guarda la mappa. La difesa di Saigon sarebbe una difesa di strade ma le strade
          sono  tagliate.  A  nord-est,  e  cioè  a  Tay  Ninh  dove  passa  la  Statale  numero  Uno,
          avanzano con tre divisioni: la Settima, la Seconda, la Prima. Ogni divisione conta

          dodicimila uomini, la Settima conta anche alcuni reggimenti vietcong. A nord, e cioè
          a Bien Hoa dov’è la base aerea e dove passa la Statale numero Tredici, avanzano
          con quattro divisioni: la Terza, la Quinta, la Sesta, la Nona. La Quinta comprende
          anche  due  reggimenti  vietcong.  A  nord-ovest,  e  cioè  a  Xuan  Loc  dove  passa  la
          Statale numero Uno, avanzano con la Trecentoquarantuno che ha già preso i porti di
          Phan Rang e di Phan Thiet. Due giorni fa l’arco d’acciaio era un arco che in ogni
          punto  distava  sessanta  chilometri  da  Saigon.  Da  Xuan  Loc  vi  dista  appena
          trentacinque e di lì raggiungere la Statale numero Quindici è quasi uno scherzo. Lo
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