Page 63 - Oriana Fallaci - La vita è una guerra ripetuta ogni giorno
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«Di carneficine, di eccidi, me ne intendo.





              Purtroppo. Però in tempo di pace mai ho visto un eccidio così infame, così cinico,

                                                                            così ben organizzato… Mai.»



          Nella  mia  vita  ho  visto  molte  brutte  cose.  Molte.  Sono  nata  in  una  tirannia,  sono

          cresciuta in una guerra, e per gran parte della mia esistenza ho fatto il corrispondente
          di guerra. Per anni (in Vietnam, otto) ho vissuto al fronte. Ho seguito battaglie, ho
          subìto  sparatorie  e  cannoneggiamenti  e  bombardamenti,  ho  testimoniato  l’umana
          crudeltà e imbecillità. Di carneficine, di eccidi, me ne intendo. Purtroppo. Però in
          tempo di pace mai ho visto un eccidio così infame, così cinico, così ben organizzato
          come  l’eccidio  di  Plaza  Tlatelolco.  Mai.  «No  se  preocupe.  No  pasa  nada.  Non
          succede  niente»  mi  aveva  dichiarato  a  mezzogiorno  l’alto  funzionario  governativo

          che  ero  andata  a  intervistare  per  chiedergli  se  fosse  vero  che  nel  pomeriggio  la
          manifestazione  in  Plaza  Tlatelolco  sarebbe  stata  fermata  con  la  forza.  Invece  a
          quell’ora i carri armati erano già all’erta. E con loro il famigerato Battalion Olimpia.
          Lo  sapevano,  lo  sapevamo  tutti.  Lo  sapevamo  così  bene  che,  quando  uscii
          dall’albergo Regina Isabel e dissi agli altri inviati speciali «venite anche voi» essi

          mi risposero: «No davvero. Vacci tu ché poi ci racconti». Lo sapeva anche il mio
          ambasciatore che, preoccupato, mi fece accompagnare nella piazza dal suo autista
          con la macchina dell’ambasciata cioè munita di bandiera italiana. Lo sapevo anch’io
          che,  appena  giunta  lì,  rimandai  indietro  il  povero  autista.  «Se  ne  vada  subito
          altrimenti finiamo al cimitero in due.»
              […] Ricordare Plaza Tlatelolco è per me un disturbo, una distrazione […]. Ma

          come  dimenticare  quella  terrazza  al  terzo  piano  del  Chihuahua  Building  dove  mi
          trovavo insieme agli studenti? (E tra gli studenti uno strano capo chiamato Cristos.
          Un  tipo  molto  arrogante,  molto  antipatico,  che  al  mio  allarme  rispose  con  le
          medesime  parole  dell’alto  funzionario  governativo:  «No  se  preocupe.  No  pasa
          nada». E poi: «Usted vees las cosas como en Vietnam». Come dimenticare quei carri
          armati  che  a  un  certo  punto,  senza  alcun  motivo,  bloccarono  le  strade?  Come

          dimenticare quella luce azzurra, quel bengala, che subito dopo dette il segnale cioè il
          via alla strage? Venivo dal Vietnam, sì. Venivo dall’offensiva del Tet, dall’assedio
          di Hué, dalle battaglie di Dak To e di Da Nang e di Tri Quang. Ero abituata alle
          esplosioni,  alle  sparatorie,  al  sangue,  come  alle  sigarette.  Eppure  non  credevo  ai
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