Page 101 - Oriana Fallaci - La vita è una guerra ripetuta ogni giorno
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proteste dell’opposizione in tv dove tutto dipende dal modo in cui inquadri una scena
e dove cento sembrano mille. La stragrande maggioranza degli israeliani era con
Sharon, vi dico: bellicosi, belligeranti, prussiani. C’è voluto un massacro per
svegliarli un po’.
Io non capisco che cosa sia successo a questo Paese per il quale piangevamo,
questo Paese che guarda sempre gli altri dall’alto di una sua presunta superiorità
morale. È come se fosse stato colto da una follia, una brama di distruzione e
autodistruzione, è come se un cancro gli avesse attaccato l’anima. Ed è questo il
punto che nessuno, qui, vuole riconoscere, è questo il punto che nessuno qui vuole
discutere: a volte per un antico complesso di colpa, a volte per un antico senso di
pietà, a volte per una odierna paura d’essere ricattato con l’accusa di detestare gli
ebrei. Nella mia intervista, Sharon dice sempre che Israele è una democrazia. Lo
dice per dimostrare che l’intero Paese condivide le sue responsabilità, le
responsabilità di Begin, che egli non è un tiranno, che nessuno lì è un tiranno giunto
al potere con un colpo di Stato. Vero, verissimo. Ma allora sorgono alcune domande.
Com’è che questo Paese, che guarda sempre gli altri dall’alto di quella presunta
superiorità morale, elegge tipi come Sharon e Begin? Com’è che, ammeno di un
massacro, continua a sostenere le loro scelte e la loro guerra? Com’è che alcuni
buoni israeliani dicono quello che dico io, però se gratti bene sotto la scorza trovi
quasi sempre un granulo dello stesso cancro? Parlando del colonnello Gheva, Sharon
mi raccontò su di lui qualcosa che mi indusse a esclamare: «Oddio, non mi faccia
dire che Sadat aveva ragione a sostenere che in Israele non vi sono falchi e colombe
ma falchi e superfalchi!». E Sharon sorrise, e rispose: «Quando si tratta della nostra
sicurezza, della nostra esistenza, non v’è dubbio. Non esistono falchi e colombe,
esistono ebrei. Non esistono laburisti e likudisti, esistono ebrei. Questa è la mia
risposta».
Non vidi Arafat a Beirut. Tutti credevano che fossi lì per intervistare Arafat e
nessuno voleva ascoltarmi quando dicevo: «Non voglio vedere Arafat, sono qui per
preparare l’intervista a Sharon». Prevenendo la vostra domanda vi spiegherò perché
non volevo vedere Arafat e poiché non sono qui per deliziare nessuno, per consolare
nessuno, spero che la mia spiegazione non delizi troppo e non consoli troppo coloro
che non sopportano il mio sdegno per Sharon. Cioè coloro che sbandierano gli orrori
di Dachau e di Mauthausen come se quegli orrori fossero stati inflitti esclusivamente
agli ebrei, coloro che delle mostruosità naziste hanno fatto la propria tragedia
esclusiva, coloro che guardano alla sofferenza delle persecuzioni come a un
monopolio personale e privato. E così ricattano col loro passato, bollano con
l’accusa di antisemitismo chiunque definisca la Israele di oggi la Prussia del Medio
Oriente o chiunque non permetta al signor Begin di mandar telegrammi per dire che
in Libano si sente come «uno che dà la caccia a Hitler nel suo bunker». Lasciamo
perdere Hitler, in questo caso, sennò potrebbe risultare che qualcun altro assomiglia
a Hitler o perlomeno ha imparato fin troppo bene gli insegnamenti di Hitler.
Specialmente dopo la vergogna di Sabra e Chatila è giunto il momento di dire a
questo pazzo (il termine non è mio, è di Ben Gurion, lo scrisse Ben Gurion parlando