Page 97 - Oriana Fallaci - La vita è una guerra ripetuta ogni giorno
P. 97

«La bugia più grossa di tutte è la parola “pace”.»





          Come corrispondente di guerra ho seguito la maggior parte delle guerre degli ultimi

          quindici anni. Sono stata alla guerra in Vietnam, in vari viaggi per otto anni. Sono
          stata alla guerra indo-pakistana, nel Bangladesh, nel conflitto medio-orientale, nelle
          basi segrete dei fidayn in Giordania prima che fossero spazzate via, senza contare le
          varie insurrezioni in America Latina e altrove (guerre anche quelle), e ogni volta ho
          odiato la cosa come quel capitano americano a Dak To, in Vietnam, che prima di
          condurre i suoi uomini alla battaglia per la collina 1383 mi disse: «Ogni volta è la
          prima volta, e ogni volta è peggio perché so meglio che cosa dovrò affrontare». Vi

          dirò, vi sono corrispondenti di guerra cui andare alla guerra piace. Ci si muovono
          bene,  quasi  con  grazia:  l’elmetto  gli  sta  bene,  e  così  la  giacca  antiproiettile,
          l’uniforme  quando  si  è  obbligati  a  indossarla.  Io  no.  Non  posso  sopportar  le
          uniformi, considero la giacca antiproiettile un indumento scomodo e sinistro perché
          pesa troppo e lega i movimenti, mi sento disperatamente ridicola con l’elmetto in
          testa. Ma più che l’elmetto e la giacca antiproiettile e le uniformi, odio lo spettacolo

          della sofferenza. Odio la morte.
               Sapete, io non sono una persona che piange facilmente. Anzi, e purtroppo, non
          piango  mai.  Non  sono  neanche  una  persona  che  si  impressiona  facilmente  dinanzi
          agli orrori. Ne ho visti troppi. Eppure, quando mi trovo in una guerra, i miei occhi
          sono quasi sempre lucidi di lacrime e mi vengono certi nodi alla gola che non riesco
          più  a  parlare. A  Beirut  era  così.  Ogni  volta  che  Sharon  bombardava  dalla  terra,

          dall’aria,  dal  mare,  sicché  il  cielo  sopra  la  città  diventava  rosso  e  nero  come
          l’inferno, mi si riempivano gli occhi di lacrime e non riuscivo più ad aprir bocca.
          Neanche  per  insultare  qualcuno  che  una  sera  disse:  «È  eccitante.  Ero  curioso  di
          vedere  almeno  una  volta  questo  spettacolo  e  bisogna  ammettere  che,  purtroppo,  è
          eccitante».  Quando  si  tratta  di  guerra,  io  ignoro  il  significato  della  parola

          «eccitante». E della parola «curiosità». Nemmeno quando sono andata la prima volta
          in Vietnam avevo quel tipo di curiosità. Infatti lo sapevo cos’era la guerra: fin da
          bambina.  Come  i  bambini  di  Beirut  ho  imparato  da  bambina  a  correre  sotto  le
          bombe,  a  sopportare  il  terrore  delle  incursioni  aeree,  i  cannoneggiamenti
          dell’artiglieria, le fucilate vili dei francotiratori, la paura, la distruzione, la morte, i
          cadaveri che puzzano fino a soffocarti. Ho imparato nella Seconda guerra mondiale
          che trovarsi in una guerra non è come guardarla alla televisione, dove diventa uno
          spettacolo simile alle partite di calcio.  Da adulta ho imparato anche che cos’è un
   92   93   94   95   96   97   98   99   100   101   102