Page 145 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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Subito dopo l’operazione chiesi ai medici di vederlo, dissi: «Portatemelo qui che lo

          voglio guardare in faccia quel figlio di cane». E un po’ sorpresi loro me lo portarono
          e a colpo d’occhio sembrava una pallina di marmo, innocua, quasi graziosa. Ma io
          non lo vidi come una pallina di marmo. Io lo vidi appunto come una creatura viva,
          come un alieno che era entrato dentro di me per distruggermi e quando alcuni giorni
          dopo lo riguardai al microscopio e vidi di che cosa è capace, quello che combina
          quando  si  riproduce,  invade  il  corpo,  capii  veramente  che  avevo  un  nemico  da

          combattere. Lui voleva distruggere me, io dovevo distruggere lui. […]
               Più che di rapporto di guerra forse bisognerebbe parlare di un rapporto di sfida,
          di  sfida  mentale,  perché  c’è  un  dialogo muto  tra  me  e  lui.  […]  Anche  quando
          accendo una sigaretta mi sembra di sfidarlo, eh, tieni brutto stronzo che ti fumo in
          faccia. Non è certamente un rapporto di paura, e questo lo dico con sorpresa perché
          avere paura è assolutamente legittimo, è più che lecito e anche salutare. Ma anche
          quando mi sono accorta d’averlo non ho provato paura, ebbi paura soltanto prima

          dell’operazione  quando  temevo  che  mi  mutilassero  […]  e  fu  il  medesimo  tipo  di
          paura che avevo alla guerra quando temevo a seguire un combattimento di perdere un
          braccio, di perdere una gamba, di restare cieca, più che di morire avevo paura di
          restare mutilata. […] Ci sono momenti di grande combattività e momenti di grande
          tristezza, quasi di rassegnazione. Uno di questi è avvenuto quando è morta Audrey
          Hepburn,  forse  perché  la  conoscevo,  forse  perché  aveva  la  mia  età,  forse  perché

          l’avevano operata o rioperata più o meno nel periodo in cui avevano operato me,
          l’ho presa male. E questa tristezza è durata parecchi giorni. Ma poi l’ho superata, è
          tornata la combattività e in un modo molto sano. […] Ho cominciato a pensare al mio
          prossimo libro.   10



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          Io non mi proponevo di scrivere un altro libro su di noi e sull’Islam. L’assillo del

          mio-bambino insomma del romanzo interrotto mi tormentava, l’ansia di toglierlo dal
          cassetto  mi  bruciava,  sicché  su  di  noi  e  sull’Islam  volevo  fare  soltanto  un  Post-
          Scriptum  a La Rabbia e l’Orgoglio. Ma la tentazione di rinsanguare quella predica
          prevalse,  il  bisogno  d’arricchirla  con  un  discorso  più  approfondito  divenne  la
          consapevolezza d’un dovere. Mi fiorì tra le mani La Forza della Ragione, e quando
          scrivo un libro io mi comporto come una donna incinta che pensa al feto nel suo
          ventre  e basta.  Non  conta  che  lui.  M’accorsi,  sì,  che  l’Alieno  s’era  svegliato.

          Scrivevo  e  tossivo,  scrivevo  e  tossivo.  Una  tossaccia  secca,  cattiva,  e  simile  a
          quella che in pochi mesi s’era portata via mio padre con un cancro ai polmoni. Ma
          anziché correre a Boston o cercarmi un medico a New York continuai a lavorare. Se
          ci vado e mi conferma che s’è svegliato, conclusi, mi opera. Se mi opera, interrompo
          la gravidanza. Abortisco. Mi trovai insomma nelle condizioni d’una donna che deve

          scegliere tra la propria vita e quella del figlio. E scelsi la vita del figlio.


          Però la testa resiste benissimo. Nel mio caso il motto «Mens sana in corpore sano»
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