Page 147 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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Atea cristiana














          Io non capisco chi crede in Dio. Ero molto giovane, riflessiva ma giovane, avevo
          dodici anni quando mi resi conto che mi avevano raccontato una fiaba, che Dio non
          esisteva. E da allora non ho mai avuto ripensamenti. La vita non è stata facile con
          me. È stata addirittura cattiva, con me. Mi ha perseguitato con la morte ed io stessa
          sono  stata  molte  volte  vicino  alla  morte.  La  morte  violenta  cioè  la  morte  delle

          guerre.  La  morte  insidiosa  cioè  quella  della  malattia.  Però  mai  ho  avuto
          ripensamenti, ho chiesto aiuto a Dio. Neanche in punto di morte: no. Mai. Così non
          conosco la forza della passione che viene dalla fede.          13


          Finché vivo non mi libererò mai di quegli angeli cupi di marmo di bronzo di legno di
          tela,  scolpiti  disegnati  dipinti,  irrigiditi  nell’atto  di  gonfiare  le  gote  e  suonare  la
          tromba; di quei santi malinconici trafitti arrabbiati, ritratti al momento del martirio

          più  macabro,  san  Sebastiano  con  una  freccia  nel  collo,  santa  Lucia  con  gli  occhi
          messi sopra un vassoio; di quelle Madonne vestite di azzurro e di bianco, sempre
          colte nel gesto di allattare il Bambino; di quei Gesù crocifissi ed ignudi o vestiti ma
          con un cuore nella mano sinistra. Entravo in chiesa, bambina, e insieme all’umido al
          freddo al puzzo di sudore e di incenso al bisbiglìo dei penitenti cui il prete aveva

          imposto  trenta Pater  Noster,  quaranta Ave  Maria,  cinquanta Salve  Regina,  chiedi
          perdono  al  Signore,  vergogna,  vergogna,  mi  avvolgeva  l’incubo  dei  santi  e  degli
          angeli,  dei  Gesù  e  delle  Madonne,  ipnotizzata  mi  fermavo  a  fissare  quel  cuore,
          quegli occhi, ma come faceva Gesù a togliersi il cuore ed a tenerlo in mano, come
          faceva  santa  Lucia  a  strapparsi  gli  occhi  e  a  metterli  sopra  un  vassoio,  e  il
          paganesimo di una religione sbagliata mi schiacciava come una cappa di piombo.
          Così scappavo all’altare e inginocchiata sotto le candele, le trine, i gioielli, le stoffe

          preziose, il luccicar d’oro e d’argento, i fiori che avrei voluto rubare per portarli
          alla mamma, mi sforzavo di credere alle belle leggende e masticavo anch’io Pater
          Noster, Ave Maria, Salve Regina, Requiem Aeternam, colma di gratitudine falsa per
          Nostro  Signore  che  in  sette  giorni  aveva  creato  la  Terra,  prima  le  acque,  poi  le
          piante, poi le bestie, poi l’uomo, poi la donna: ma v’era sempre un momento in cui
          l’incredulità rifioriva, lo scetticismo per la grande magia, e con questo il terrore. Il

          terrore d’essere punita, di precipitare all’Inferno, bruciare, e mi sudavan le mani, mi
          tremavano  forte  i  ginocchi,  perdonami  Dio,  però  come  hai  fatto  a  creare  in  sette
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