Page 148 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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giorni, però come hai fatto: e in tali assurdità mi perdevo. Non lo dissi mai a nessuno

          […].  Me  ne  mancò  sempre  il  coraggio.  E  così  crebbi  impaurita  dagli  angeli,  dai
          santi,  da  Maria  Vergine,  da  Gesù  Bambino  e  da  Gesù  Crocifisso,  dal  Paradiso
          dall’Inferno dal Purgatorio, da ciò che chiamano Bene e ciò che chiamano Male, e
          questi pesi mi restarono addosso, incollati, anche quando volli cacciarli, scrollarli,
          un’unghia che tagliata ricresce, ricresce, ricresce fino al giorno in cui muori: non è
          per tutti così? 14



          Io sono un’atea cristiana. Non credo in ciò che indichiamo col termine Dio. […] Dal
          giorno in cui m’accorsi di non crederci (cosa che avvenne assai presto cioè quando
          da  ragazzina  incominciai  a  logorarmi  sull’atroce  dilemma  ma-Dio-c’è-o-non-c’è),
          penso che Dio sia stato creato dagli uomini e non viceversa. Penso che gli uomini lo
          abbiano inventato per solitudine, impotenza, disperazione. Cioè per dare una risposta

          al mistero dell’esistenza, per attenuare le irresolubili domande che la vita ci butta in
          faccia… Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Che cosa c’era prima di noi e
          di  questi  mondi,  miliardi  di  mondi,  che  con  tanta  precisione  girano  nell’universo.
          Che cosa ci sarà dopo… Penso che l’abbiano inventato anche per debolezza, cioè
          per  paura  di  vivere  e  di  morire.  Vivere  è  molto  difficile,  morire  è  sempre  un
          dispiacere, e il concetto d’un Dio che aiuta ad affrontare le due imprese può dare un

          sollievo  infinito:  lo  capisco  bene.  Infatti  invidio  chi  crede.  A  volte  ne  sono
          addirittura gelosa. Mai, però, fino a maturare il sospetto quindi la speranza che quel
          Dio  esista.  Che  con  tutti  quei  miliardi  di  mondi  abbia  il  tempo  e  il  modo  per
          rintracciare me, occuparsi di me. Ergo, me la cavo da sola. Quasi ciò non bastasse,
          sopporto  male  le  Chiese.  I  loro  dogmi,  le  loro  liturgie,  la  loro  presunta  autorità
          spirituale, il loro potere. E coi preti vado poco d’accordo. Perfino quando si tratta di
          persone intelligenti o innocenti non riesco a dimenticare che stanno al servizio di

          quel potere, e v’è sempre il momento in cui l’antiquato anticlericalismo riaffiora. Un
          momento  in  cui  sorrido  al  fantasma  del  mio  nonno  materno  che  era  un  anarchico
          ottocentesco  e  cantava:  «Con  le  budella  dei  preti  impiccheremo  i  re».  Tuttavia,
          ripeto, sono cristiana.
               Lo sono anche se rifiuto vari precetti del cristianesimo. Ad esempio la faccenda
          del porgere l’altra guancia, del perdonare. (Errore che incoraggia la cattiveria e che

          non commetto mai.) E lo sono perché il discorso che sta alla base del cristianesimo
          mi piace. Mi convince. Mi seduce a tal punto che non vi trovo alcun contrasto col
          mio ateismo e il mio laicismo. Parlo del discorso fatto da Gesù di Nazareth, ovvio,
          non  di  quello  elaborato  o  distorto  o  tradito  dalla  Chiesa  cattolica  ed  anche  dalle
          Chiese  protestanti.  Il  discorso,  voglio  dire,  che  scavalcando  la  metafisica  si
          concentra  sull’Uomo.  Che  riconoscendo  il  libero  arbitrio  cioè  rivendicando  la
          coscienza dell’Uomo ci rende responsabili delle nostre azioni, padroni del nostro

          destino. Ci vedo un inno alla Ragione, al raziocinio, in quel discorso. E poiché ove
          c’è raziocinio c’è scelta, ove c’è scelta c’è libertà, ci vedo un inno alla Libertà. Nel
          medesimo  tempo  ci  vedo  il  superamento  del  Dio  inventato  dagli  uomini  per
          solitudine, impotenza, disperazione, debolezza, paura di vivere e di morire.              15
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