Page 144 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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L’Alieno














          Il  rapporto  è  un  rapporto  di  guerra.  È  il  rapporto  tra  due  nemici  che  mirano  a
          distruggersi, come alla guerra. Lui vuole ammazzare me e io voglio ammazzare lui.
          Dico lui perché io sono incapace di parlarne come di una cosa o come di un’entità
          astratta, per me lui è una creatura viva, un animale di un altro pianeta, un Alieno che
          ha invaso il mio corpo per distruggerlo.



          Io soprattutto lo combatto col cervello.      8


          Di lui parlo sempre. Apertamente. Con tutti. Ne parlo anche per rompere il tabù di
          cui divenni consapevole quando lui mi aggredì la prima volta, e il chirurgo che mi
          aveva  operato  disse:  «Le  do  un  consiglio.  Non  ne  parli  con  nessuno».  Rimasi

          allibita.  E  così  offesa  che  non  ebbi  la  forza  di  replicare:  «Che  cosa  va
          farneticando?!? Avere il cancro non è mica una colpa, non è mica una vergogna! Non
          è nemmeno un imbarazzo, visto che si tratta d’una malattia non contagiosa». E per
          settimane  continuai  a  rimuginare  su  quelle  parole  che  non  comprendevo.  Poi  le
          compresi. Perché se dicevo d’avere il cancro molti mi guardavano come se avessi la
          peste  descritta  da  Manzoni  ne I  promessi  sposi.  O  come  se  fossi  già  sottoterra.

          Impauriti, disturbati. Quasi ostili. Alcuni mi toglievano addirittura il saluto. Voglio
          dire: sparivano, e se li cercavo non si facevan trovare. Infatti fu allora che coniai il
          termine Alieno.   9


          Quando […] mi resi conto che il motivo per cui mi sentivo tanto male e soffrivo di
          dolori  spesso  insopportabili  era  un  cancro  stavo  traducendo,  anzi  ritraducendo,

          Insciallah  in  inglese,  lo  avevo  già  ritradotto  in  francese  perché  la  traduzione  in
          francese  era  pessima,  lo  stavo  ritraducendo  in  inglese  perché  quella  inglese  era
          peggiore  di  quella  francese  e  mi  trovai  dinanzi  a  un  dilemma  angoscioso:
          abbandonare il lavoro, correre subito dal medico che sicurissimamente mi avrebbe
          detto:  «Signora,  si  deve  operare  domani  mattina»,  e  quindi  lasciare  che  l’editore
          impaziente pubblicasse la cattiva traduzione di un traduttore incapace, oppure finire

          il lavoro e poi fare l’operazione. Ci pensai una lunga, tormentosa notte e poi scelsi la
          seconda soluzione.
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