Page 136 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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Grazie babbo!
«Non dimenticate che vostro padre è un artista» ci scrisse la mamma poco prima di
morire […]. Lo era, nel senso più vasto del termine, e non perché disegnasse così
bene o intagliasse così bene il legno. Era anche molte altre cose. Un libertario
disciplinato che condannava acerbamente chiunque scambiasse la libertà per licenza.
Un bravo cittadino che insieme ai diritti invocava i doveri e ad ogni pretesto
brontolava «oggi si parla troppo di diritti e troppo poco di doveri». Un democratico
coerente che tollerava gli avversari più odiosi e si ribellava con civiltà agli abusi
pubblici e privati. Un nemico della furbizia che disprezzava i compromessi e le
ipocrisie quanto i fanatismi. Un saggio che non cercava, che non ha mai cercato, il
potere e il successo. Un probo che non desiderava, che non ha mai desiderato, la
ricchezza e la fama. Infatti ha sempre vissuto del suo lavoro malpagato e poi della
sua pensione, questo piccolo grande uomo che agli sciocchi sembrava un uomo
qualsiasi: un uomo che non contava nulla o contava poco.
Non si smentì mai, non tradì mai sé stesso. A un certo punto della sua vita, deluso
da una classe politica che aveva tradito i suoi sogni e i suoi ideali, si ritirò in
superbo esilio come un Cincinnato in cerca d’una impossibile pace tra gli alberi e i
fiori che amava con la delicatezza di una fanciulla. Si trasferì nella campagna di
Greve in Chianti e qui rimase: solo coi suoi cani e i suoi gatti, le sue api e le sue
oche, le sue caprette e i suoi piccioni, i suoi conigli e le sue galline che non
ammazzava mai e che quindi invecchiavano insieme a lui: da lui nutrite e rispettate
come persone. «Gli animali» diceva «sono meglio degli uomini. E ti fanno più
compagnia.» (Chi potrebbe negarlo.) Però nel superbo esilio restò sempre attento
agli eventi della Storia, agli errori e alle colpe di chi aveva tradito i suoi sogni e i
suoi ideali: sempre informato, pronto a dare giudizi lucidi e lungimiranti, a fustigare
con beffarda ironia eppure senza rancore le congreghe e le mafie di una politica che
chiamava «la manjoir, la mangiatoia». Eh! Non conosceva giri di frase, il babbo. Lo
sa chi, come me, fu testimone del lungo tormento che nel 1978 lo indusse a
divorziare dal Partito Socialista Italiano con quella lettera fiera e terribile che
incominciava: «Sono Edoardo Fallaci, di anni settantaquattro, e da cinquantaquattro
iscritto al PSI. Questa è la mia lettera di dimissioni, e quelli che seguono sono i
motivi che costringono la mia coscienza a presentarle…».