Page 359 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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L’ospedale è un edi cio che funziona proprio come un ospedale. Ha un
          Pronto Soccorso, una sala di rianimazione, tre corsie, e guai a disturbar

          gli  ammalati  accendendo  una  sigaretta  o  parlando  a  voce  alta.  «Ssst!
          Proibiti  gli  schiamazzi  e  i  rumori!»  avverte  un  cartello  all’ingresso.  Al
          Pronto Soccorso ci sta Abdullah, un campione di wrestling che a Dahran
          studia  veterinaria.  E  per  prima  cosa  Abdullah  toglie  dalla  scatola  il
          cormorano  che  non  ha  avuto  la  forza  di  scappare  via,  suicidarsi,  lo

          appoggia sul tavolo, gli pulisce gli occhi col collirio. Poi gli apre il becco e
          con un bastoncino coperto di cotone idro lo toglie la mota oleosa che s’è
          depositata  all’interno,  con  un  disinfettante  lo  lava.  Gli  lava  anche  le

          zampe, alla meglio gli sgrassa anche le ali e la coda. In ne gli introduce
          nello stomaco una sottilissima sonda, ci versa dentro cinque milligrammi
          di  lassativo  per  liberare  l’apparato  digerente  del  veleno  ingurgitato,  e
          dopo  aver  scritto  la  diagnosi  sulla  cartella  clinica  (stato  aggressivo  o
          vivace  o  attivo  o  quieto  o  depresso  o  grave)  lo  manda  in  sala  di

          rianimazione.  Qui  Ahmed  Al  Bourg,  un  giovane  zoologo  di  Gedda,
          sestogenito d’un facchino che ha mandato all’università tutti i suoi  gli, lo
          prende in consegna per proseguire la cura. Gli inietta nell’anca quaranta

          milligrammi  di  lattosio,  se  è  molto  disidratato  gli  somministra  una
          fleboclisi, e passata qualche ora gli darà una soluzione di sali minerali.
             Incomincerà  a  farlo  mangiare  imboccandolo.  Gamberi  tritati,  alghe
          miste a vitamine.
             Muhammed Turkestani, un biologo di Riad, lo curerà invece durante la

          convalescenza, fase assai delicata perché è allora che il cormorano deve
          riabituarsi  all’acqua:  elemento  che  ormai  lo  terrorizza.  Per  riabituarlo,
          Muhammed  lo  trasferirà  in  una  piscina  coperta.  Ci  parlerà.  «Coraggio,

          tu ati!  Non  è  mica  petrolio,  tu ati!»  Insieme  a  Muhammed,  Ahmed,
          Abdullah,  lavorano  sei  ragazzi  di  Al  Jubail  e  due  militari  inglesi:  un
          soldato e una soldatessa.
             Il  vero  eroe  della  situazione,  comunque,  è  Yousef  Al  Wetaid:  ideatore
          del  progetto  e  direttore  dell’ospedale.  Infatti,  quando  Saddam  Hussein

          ordinò  di  rovinare  il  Golfo  con  quei  milioni  di  barili  di  greggio,  Yousef
          non ne sapeva nulla di uccelli sani o malati.
             Faceva  il  botanico.  «Perché  mi  sono  messo  in  questa  avventura?»

          sorride. «Eh! Potrei rispondere ripetendo la storia delle coccinelle, ma non
          sarei completamente sincero. La verità è che rispetto gli animali assai più
          degli  uomini.»  Non  posso  dargli  torto,  visto  che  son  portata  a  pensarla
          come lui. E tuttavia, tuttavia, mentre guardo i cormorani di Yousef una
          domanda mi tormenta: quanti esseri umani sono morti in questa guerra?

             Quanti  soldati  iracheni,  ad  esempio?  «Many,  many,  many,  many,
          many. Molti, molti, molti, molti, molti. And many are already buried. E
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