Page 357 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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La nuvola nera sul Golfo




             Quando  nisce una guerra e si torna a casa, resta sempre qualcosa da
          raccontare:  appunti  non  usati,  storie  non  scritte,  perché  al  momento  di

          usare  i  primi  e  di  scrivere  le  seconde  accadevano  fatti  che  erano  o
          sembravano più importanti. Più urgenti. Ciò che segue è una disordinata
          raccolta  di  quegli  appunti,  di  quelle  storie:  una  serie  di  ricordi  messi  in
          valigia insieme a un elmetto, una giacca antischegge, una tuta anti-NBC,

          una maschera antigas.
             «Vieni, non scappare, vieni! Guarda che ti dò, se vieni!» implora Yousef
          Al  Wetaid  porgendo  una  sardina  fresca  al  cormorano  che  impastato  di
          petrolio  ansima  su  una  roccia  di  Abu  Ali,  l’isola  forse  più  straziata  del

          Golfo.  E  intanto  cerca  di  avvicinarsi  per  acchiapparlo,  metterlo  dentro
          una  scatola,  portarlo  ad  Al  Jubail  dove  coi  suoi  volontari  del  Wildlife
          Rescue Project ha già salvato trecentocinquanta uccelli moribondi. Ma il
          cormorano che impastato di petrolio ansima sulla roccia di Abu Ali non

          vuole essere salvato. Sa che per centinaia di chilometri il mare non è più
          mare, il cielo non è più cielo, la vita non è più vita. Ha capito che salvo
          rare eccezioni di cui non bisogna  darsi gli uomini sono cattivi e aprono
          le  supercisterne  per  rovesciare  nell’acqua  una  robaccia  scura  e

          appiccicosa,  una  melma  che  incolla  le  penne  e  impedisce  di  volare.  E
          invece di venirci incontro, accettare la sardina fresca, retrocede: deciso.
          Poi  piegando  il  lunghissimo  collo  e  barcollando  sulle  zampe  ci  volta  le
          spalle,  si  allontana,  raggiunge  la  robaccia  scura  e  appiccicosa,  e  vi  si

          lascia annegare. Vi si suicida come un uomo che non crede più a nulla,
          non  spera  più  nulla.  E  in  pochi  istanti  diviene  un  bassorilievo  nero  tra
          migliaia di bassorilievi neri: ciò che rimane dei cormorani, dei gabbiani,
          dei germani, dei codoni, degli aironi, dei chiurli, degli albatri uccisi dalla

          follia di Saddam Hussein.
             Ne sono morti almeno sessantamila, dal giorno in cui quel pazzo ordinò
          di aprire le supercisterne del Kuwait per rovesciare nel Golfo quei milioni
          di barili di greggio.

             L’isola  di  Abu  Ali  è  un’ecatombe  di  uccelli  rari,  e  lo  stesso  l’isola  di
          Harquz. Lo stesso l’isola di Karan, le isole di Jana, di Jinnah, di Jazirath,
          di Dawa Al Da . Lo stesso le spiagge che si stendono da Kuwait City ad Al
          Jubail. Sono morti anche molti del ni, molti balenotteri, molte tartarughe

          giganti, e il mare è irriconoscibile: anziché un mare sembra un deposito di
          spazzatura,  una  fogna  per  raccogliere  lo  sterco  dell’umanità.  Se  non  ci
          credi, prova a volarci sopra con l’elicottero. Io non ci credevo.
             Poi,  per  quattro  ore,  ci  ho  volato  sopra  con  l’elicottero.  E  più  d’una
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