Page 358 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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volta  mi  sono  sentita  mancare  il   ato.  Lungo  tutta  la  costa  la  gran
          macchia di petrolio copre le acque come un sudario, in ogni baia e ogni

          anfratto sciaguatta in schia  di melma nauseabonda, e anche se voli a
          cinquecento metri di altezza il puzzo ti riempie le narici.
             Ti  chiude  la  gola.  Al  largo,  invece,  il  sudario  s’è  rotto  in  strisciate  e
          stilature  che  s gurano  l’azzurro.  Oppure  è  a ondato  per  depositarsi  sui
          banchi di corallo, i prati di alghe, i letti d’erba marina che forniva cibo ai

          crostacei. A ondando ha lasciato sulla super cie una pellicola d’olio che
          impedisce  al  sole  di   ltrare,  e  i  pesci  galleggiano  a  tappeto:  assiderati,
          as ssiati. Né bisogna dimenticare che il Golfo è una specie di conca, che

          lo  stretto  di  Hormuz  misura  quarantotto  chilometri  appena,  che  ci
          vogliono  cinquantaquattr’anni  perché  le  sue  acque  si  rinnovino  con  le
          acque dell’Oceano Indiano.
             Cioè perché la conca si ripulisca.
             «Si direbbe una cosa brutta a vedersi e basta, vero?» mormora Yousef

          con una smor a di rabbia sul giovane volto olivastro. «Si direbbe soltanto
          un dispetto all’estetica, una disavventura che non incide sulla nostra vita.
          Bé,  non  è  così.  Perché  nell’equilibrio  ecologico  ogni  specie  vegetale  e

          animale ha un suo compito preciso e insostituibile, e quando una specie
          scompare la nostra stessa esistenza è in pericolo.
             Osservi questa coccinella. Non è un animale inutile, un insetto grazioso
          sì ma superfluo.
             Ciascun giorno mangia una ventina di a di, altri insetti che a loro volta

          mangiano le piante: se le coccinelle sparissero, gli a di proli cherebbero
          indisturbati e a poco a poco si divorerebbero anche gli alberi. A un certo
          punto non ci sarebbe più una foglia di verde. Anche quei banchi di corallo

          e quei prati di alghe e quei letti d’erba marina, dunque, hanno ruolo: un
          compito preciso e insostituibile che ci riguarda. E il medesimo discorso va
          fatto  per  quei  del ni,  quei  balenotteri,  quelle  tartarughe,  quegli  uccelli.
          Non salvarli sarebbe puro masochismo.» Poi si avvicina a un cormorano
          troppo debole per scappar via, suicidarsi, e lo acchiappa. Lo mette nella

          scatola, lo accarezza, lo conforta, tenta di svegliarne i ri essi spenti: «Su,
          bello,  su.  Non  addormentarti,  non  lasciarti  andare.  Apri  gli  occhi,
          beccami,  resta  vivo,  che  ti  porto  all’ospedale,  ti  guarisco».  Quanto  ad

          Abdullah  Al  Sahefani,  Ahamed  Al  Bourg,  Muhammed  Turkestani,  i
          volontari  che  l’hanno  seguito  ad  Abu  Ali,  fanno  lo  stesso.  E  io  cerco  di
          contribuire.
             Insozzandoci  di  petrolio,  di  sabbia  sozza,  di  mota,  verso  il  tramonto
          avremo raccolto ben ventisette moribondi. Dodici grandi cormorani, otto

          pellicani  di  Socotra,  tre  gabbiani  reali,  due  aironi  cinerini,  nonché  un
          chiurlo e un albatros.
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