Page 117 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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intellettuale o un borghese dei molti che, sembra un paradosso, formano
          la spina dorsale del movimento. Oltre a non avere una sede e un telefono,

          il Fronte non ha un u cio stampa né un giornale né mezzi di trasporto. Il
          brav’uomo che mi condusse da Habash guidava un’automobile così vecchia
          e  scassata  che  giungere  a  destinazione  fu  per  entrambi  motivo  di
          straordinaria sorpresa. In altre parole, chi diviene  dayn col Fronte non
          lo  fa  certo  per  convenienza  o  per  furbizia.  Del  resto  il  numero  dei  suoi

           dayn è bassissimo. La cifra sussurrata è duemila persone ma uno di loro
          mi confessò:
             «Milleseicento».

             Eppure  son  quei  milleseicento  che,  bene  o  male,  concentrano
          l’attenzione del mondo. E non solo per la crudeltà dei loro sabotaggi in
          Israele o in Europa: per il preciso indirizzo politico che li distingue e col
          quale influenzano tutto il movimento fidayn.
             Bando  alle  storie:  sotto  sotto,  la  Resistenza  palestinese  è  comunista,

          sostenuta e aizzata dalla Cina e dalla Russia che sfruttano con abilità il
          nazionalismo degli arabi. E se la lotta è guidata oggi dai capi di Al Fatah,
          socialdemocratici o liberalsocialisti, non è detto che anche domani essa sia

          guidata  da  loro.  Al  contrario.  Parlando  coi  guerriglieri  delle  basi  e  coi
          profughi  dei  campi,  ci  metti  poco  a  capire  che  prima  o  poi  quei  capi
          saranno costretti a diventar comunisti o a mettersi da parte. Il futuro non
          appartiene a chi crede che una vittoria militare conduca alla fondazione
          di uno Stato democratico palestinese, appartiene a chi crede che «uccidere

          una persona a Tel Aviv o a Zurigo ha più effetto che uccidere cento soldati
          in battaglia». È sospetto di molti che l’uomo di domani non sia Faruk El
          Kaddoumi alias Abu Lotuf, o Yassir Arafat alias Abu Ammar, ma il dottor

          George Habash che  n da ora si presenta col suo vero nome. «No, io non
          mi nascondo, non mi camu o. Chi si sceglie uno pseudonimo lo fa spesso
          per  il  gusto  del  dramma,  e  io  ho  abbastanza  drammi  in  me  stesso  per
          inventarne altri.» E con ciò torniamo al mio incontro col medico che era
          nato per essere un angelo e che l’odio, o la disperazione, trasformò invece

          in un diavolo.
             L’incontro avvenne di notte, alla periferia di Amman, nella stanza di un
          caseggiato annesso a un campo di profughi. La stanza non aveva che una

          scrivania e qualche sedia.
             Era  tappezzata  di  manifesti  contro  il  sionismo  e  sorvegliata,  oltre  la
          porta  chiusa,  da   dayn  armati  col  mitragliatore.  Dentro,  infatti,  non
          c’eravamo che io, lui, Moroldo, e il tipo che ci aveva condotto  n lì. Io
          sedevo  alla  scrivania  e  George  Habash  sulla  sedia  di  fronte:  le  spalle

          curve, le mani abbandonate sui ginocchi, il volto sollevato nell’attesa di
          ciò  che  gli  avrei  chiesto.  In  tal  posizione  continuava  a  guardarmi  con
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