Page 53 - Oriana Fallaci - Intervista con se stessa. L'Apocalisse.
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Mi piaceva, sì. E avevo buoni rapporti con lui. Sono una
liberale. Per accettare una persona, per rispettarla, non ho mica
bisogno che quella persona la pensi nel modo in cui la penso io!
Altrimenti come avrei fatto a voler bene a Pietro Nenni? Come
avrei fatto a provar simpatia per Giorgio Amendola? Come
avrei fatto ad andare a cena con Pajetta che (lo racconto ne La
Forza della Ragione) per obbedire al suo partito m'avrebbe
fucilato? Mi piaceva, Berlinguer, perché era un gran signore. Un
aristocratico nel senso migliore del termine. Un uomo serio,
raziocinante, elegante, e in più premuroso. Il tipo che se hai la
febbre ti telefona per farti gli auguri. Una volta ebbi un brutto
attacco di malaria. Lo seppe e mi telefonò. «L'ho avuta anch'io,
ed è un tormento. Ma Lei è una stoica, l'ho capito. Rimanga tale.
Nella vita lo stoicismo è una necessità». Nei comizi eccedeva
anche lui, d'accordo. Con la faccia distorta urlava e sembrava il
dottor Jekyll che diventa Mister Hyde. Però non credo che
avrebbe mai ordinato a Pajetta di fucilarmi. V'era un fondo di
liberalismo, nella sua psiche. Un giorno gli feci un regalo. Un
bel disegno del Settecento, un quadretto che ritraeva un
Conclave di cardinali. Lo avevo comprato da un antiquario di
Stoccolma, e glielo detti pronunciando una frase provocatoria:
«L'ho comprato perché questi pretacci mi ricordano il Suo
Comitato Centrale». Esplose nella risata più divertita che abbia
mai udito, e commentò: «Ha proprio ragione».
Inoltre non era vanesio, non era presuntuoso. Virtù rara tra i
comunisti. I comunisti credono sempre d'essere padreterni, agli
altri guardan sempre con una stupidissima aria di superiorità. E
vuoi sapere quant'era diverso, Berlinguer, anche in quel senso?
Un paio d'anni prima che morisse lo intervistai per il Corriere e
lo Washington Post, e a un certo punto gli dissi: «Durante la
Guerra Fredda un giornalista pose a Tito questa domanda: "Se
anziché in Iugoslavia fosse nato in America, chi sarebbe oggi?".
E Tito rispose: "Un ultramiliardario americano, naturalmente".
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