Page 159 - Oriana Fallaci - Intervista con se stessa. L'Apocalisse.
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Mi depresse quasi quanto l'udienza che il presidente della
Repubblica elargì ai sette mussulmani-moderati incluso l'imam
di Colle Val d'Elsa e il suo oltraggio al paesaggio della mia
Toscana. Mi ferì quasi quanto il presidenziale discorso sugli
immigrati che non sono abbastanza.
Venite-venite-ché-abbiamo-tanto-bisogno-di-voi. (E menomale
che non si concluse con un: «Se venite, insieme alla
cittadinanza vi diamo anche un bel poderino nel Chianti.
Magari quello della Fallaci che è a un tiro di schioppo dalla
futura moschea col minareto»).
E il secondo attacco di stanchezza, il secondo cedimento,
quando si verificò?
Al ritorno delle due Simonette pacifiste arcobaleniste. Non
m'ero ancora ripresa dai traumi sofferti per la strage di Erode e
le altre carneficine compiute dai macellai di Allah, capisce. E a
vederle scendere da quell'aereo tutte spavalde e vestite all'araba,
anzi coi dishdasha che in cambio d'un milione di dollari i
rapitori gli avevano regalato coi Corani e i dolcetti e le
caramelle, ebbi un sorriso di sprezzante pietà. Maleducate,
pensai.
Non ve l'ha detto la mamma che quando siamo state rapite dai
macellai di Allah non si torna in patria indossando i loro dannati
dishdasha, si torna vestite in modo serio? E mi augurai che a
tanta malacreanza ovvero mancanza di classe e di gusto,
rimediassero dicendo qualcosa di dignitoso anzi di doveroso.
Qualche parola sulle trecentoquarantanove creature morte a
Beslan e su quelle decapitate o sgozzate o freddate col colpo
alla nuca in Iraq, anzitutto. Nonché sugli ostaggi che ancora
languivano in una cantina con le braccia legate e gli occhi
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