Page 365 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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Una bella lettera, una lettera di gran cuore. Andai subito a cena
con lui.
Perdona facilmente, mi pare.
Io sì. D'altronde che aveva fatto? Aveva protestato. E se era
convinto che la mia opera fosse brutta, una minaccia per il
melodramma italiano, faceva benissimo a protestare. Non devo
mica essere il solo a protestare.
Ed è tollerante. Oddio, maestro, non voglio metterle in testa
l'aureola, non è proprio il caso, probabilmente l'inferno la
attende, ma mi pare che esista un certo vezzo evangelico in lei.
Macché evangelismo: è bonarietà milanese. Sono un
bonaccione, mi metto d'accordo con tutti. Non posso dire
nemmeno d'essere religioso: la religione mi cullò fino a sedici
anni e poi la persi per strada. Diciamo semmai che sono un
mistico: con una «angoisse métaphysique» che mi viene dal
ricordo della religione. Il problema della morte, ad esempio. Io
lo sento profondamente, lo ripropongo in tutte le opere, e penso
che la morte sia in diretta relazione con la ricerca che facciamo
nella vita. In altre parole, non posso credere che la natura ci
abbia dato una mente che cerca, una mente che domanda, senza
darci anche una risposta. La risposta deve esserci: con la
rivelazione. E
la rivelazione non può avvenire che con la morte.
Vuol dire che accetta la morte? Che non la teme?
Non la temo. La accetto. E spero, anzi, d'essere degno della
morte. Della verità che mi regalerà la morte. Se muoio e niente
mi è regalato, se muoio e non trovo risposte, a cosa mi è servito
vivere?
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