Page 278 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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questo mestiere. Mi interrompeva, lo interrompeva, cadeva in
estasi a qualsiasi cosa il signor Castità mi dicesse, si agitava
tutto per l'impazienza che io me ne andassi, riuscì a farmi
andare strillando che tanti altri stavano in fila ad attendere di far
l'intervista. E alla presenza del medesimo publicity man che nel
frattempo non era migliorato per niente, anzi era diventato
ancora più fesso, rividi il mio dio che sedeva con la stessa faccia
e lo stesso vestito nella stessa poltrona della stessa stanza. In
quell'intervallo avevo covato con la delusione una acuta
speranza: che il signor Hitchcock avesse almeno la fervida
fantasia che si dice. Gli narrai quindi cosa m'era successo a
Milano la mattina in cui ero partita per correr da lui. Ubriaca di
sonno, avevo posto la macchinetta del caffè sopra il gas poi
m'ero dimenticata di spengere il gas e di bere il caffè:
l'immagine di quel recipiente che bolliva e bolliva era tornata
alla mia memoria solo al momento in cui il treno stava per uscir
di stazione. Allora m'ero sporta dal finestrino e gridando il mio
indirizzo avevo gettato la chiave di casa ad un tale che non
avevo ovviamente mai visto. Che andasse a spengermi il gas,
per carità: altrimenti la casa sarebbe saltata in aria e bruciata.
Così la mia chiave era in mano di uno sconosciuto: cosa sarebbe
successo? Cos'era successo? Lo sconosciuto s'era limitato
davvero a entrare in casa, spengere il gas, chiamare i pompieri
se la casa bruciava, o mi aveva svaligiato di tutto? Avrebbe
davvero consegnato la mia chiave al giornale o se la sarebbe
tenuta per sé? E, ammesso che consegnasse la chiave al
giornale, chi mi garantiva che prima non ne ordinasse una copia
per tornare in casa e ammazzarmi?
Tutto sommato questo era un perfetto Mac Guffin, uno
straordinario pretesto per tesserci intorno un film alla
Hitchcock.
Hitchcock ascoltò con occhietti felici il racconto del mio
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