Page 146 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
P. 146
Ma lei non ascoltava. E, distesa su un letto dell'albergo più
costoso di Parigi, il ventre gonfio del figlio che un giorno
rimprovererà a lei ciò che essa rimprovera oggi ai suoi genitori,
lanciava anatemi contro l'uomo e la donna che le hanno dato la
vita: colpevoli di averle donato l'ineffabile dono che si chiama
libertà, rei di non averla battezzata col rito apostolico cattolico
romano di Santa Madre Chiesa.
La sua voce era squillante, aggressiva. La sua intelligenza,
vivissima. La sua sicurezza, ferrigna. Si addolciva soltanto
parlando di padre Rotondi che abilmente l'ha recuperata al
cattolicesimo ma, distrattamente, ha dimenticato di insegnarle il
comandamento che dice «Onora il padre e la madre».
Parlando di padre Rotondi, la parola Dio le fluiva dalle giovani
labbra con la stessa facilità con cui si espira il fumo di una
sigaretta. Ed io, che chiedo così spesso alla gente se credono in
Dio, quasi che il credere o non creder degli altri mi aiutasse a
trovare risposta al problema più grosso della nostra esistenza,
me ne sentivo ogni volta irritata, avrei voluto che cambiasse
discorso. Fu una conversazione civile, comunque, e civilmente
cenammo insieme da Lipp, poi ci salutammo. Una settimana
dopo Catherine ripetè in una chiesa di Roma il rito nuziale che
aveva già celebrato a Parigi. L'organo alzava verso il soffitto
affrescato di santi patetiche note, i parenti tra cui non v'erano i
suoi genitori piangevan commossi. Sotto il cappotto disegnato
per lei dal cognato Roberto Capucci, Catherine era una donna
impegnata a recitar suo malgrado la parte di minorenne.
Guardandola le perdonai e finita la Messa andai incontro ai due
coniugi per far loro gli auguri. Lui mi salutò con festoso
entusiasmo. Lei mi guardò come se non mi avesse mai visto.
Aveva parlato per sette pagine ormai pubblicate. Non aveva più
146