Page 145 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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volta lo stomaco, mi viene da piangere. Quando io passo davanti
al sentiero dove furono fucilati i miei amici, ed è un sentiero che
assomiglia stranamente al sentiero dove per molte stagioni
restarono a fior di terra tre poveri soldati tedeschi di sedici,
diciotto e vent'anni, mi si chiude ogni volta il cuore, mi viene da
bestemmiare. Loro invece passano senza vedere, guardano
senza sapere che certe cose è bene saperle perché possono
riaccadere, riaccadono, per altre vie, travolgendo anche loro. Il
loro letto è caldo: perché dunque lasciarlo sia pure un momento
per affacciarsi alla finestra, guardare quel che succede per
strada? E dal passato, il presente, il loro egoismo dilaga al
futuro che non esclude mai il paradiso giacché son religiosi.
Dev'esser per questo che, salvo rare eccezioni, io mi sento tanto
più vecchia di loro. Più vecchia e più giovane poiché ho notato
una cosa assai buffa: che io sono più allegra di loro e, quando
mi diverto, mi diverto molto di più, quando rido, rido molto più
forte. Io non sono mai seria, e loro lo sono sempre. Io sono
sempre sentimentale e loro non lo sono mai.
Dev'essere anche per questo che io amo i miei genitori, li
rispetto e li stimo, mentre loro li amano poco, li rispettano poco,
li stimano poco: nemmeno fossero scomodi avanzi di un
periodo che non li interessa e non voglion conoscere. Quasi
tutta l'intervista con Catherine fu un'agghiacciante diatriba
contro quel babbo che ha avuto tre mogli e quella mamma che si
diverte a ballare il chachacha. E
inutilmente io mi sforzavo di dirle che ai genitori bisogna voler
bene comunque, anche se non sono perfetti, anche se sbagliano,
se non ci capiscono: i genitori dei nostri genitori erano forse
perfetti?
Capivano forse i nostri genitori? Erano forse odiati per questo?
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