Page 129 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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delle ragazze carine e avevano rabbia perché io riuscivo a fare
la dieta mentre loro passavano il tempo a mangiare nocciolaie e
ingrassare.» Poi Paul andò in Corea e Jayne decise che era
venuto il momento per andare a Hollywood. Si iscrisse alla
Università di Los Angeles per avere un posto dove dormire e
telefonò a tutte le case produttrici per chiedere se avevano
bisogno di una ragazza carina coi capelli castani. Qualcuno le
fece fare un provino e Jayne, con un golfino molto aderente,
recitò la scena di The Seven Year Itch (Quando la moglie è in
vacanza), quella dove la ragazza scende le scale. «Mi
guardarono molto ma non successe nulla.» In compenso Paul
tornò dalla Corea e le diede un ultimatum: o diventava attrice
entro sei mesi o tornavano insieme nel Texas. Jayne affittò un
press agent che si chiamava Jim Brown. Dice Jayne Mansfield,
dimenticando di fare la stupida: «Insieme valutammo il
mercato. A quel tempo tutti abbaiavano istericamente dietro la
Monroe. Decidemmo che, se c'era posto per la Monroe, c'era
posto anche per una che le assomigliasse. Il fascino del sesso ha
sempre avuto una importanza decisiva nella mitologia
hollywoodiana. Ci demmo dunque a fabbricare artigianalmente
il prodotto: vale a dire una ragazza che si chiamava Jayne
Mansfield e che satirizzava la Monroe allo stesso modo in cui la
Monroe satirizzava il sesso». Jayne tinse infatti i capelli di
platino, perse una decina di libbre, aprì la bocca come se avesse
mangiato peperoni e soprattutto mise da parte il cervello
«che in una ragazza glamour è sempre stato un elemento di
disturbo». E fece la più grossa scoperta della sua vita: la
pubblicità.
Quell'estate del 1955 si dava a Silver Springs, in Florida, la
«prima» di Underwater, un mediocre film a colori con Jane
Russell. L'attrice era in Europa, ci voleva perciò una ragazza
che si esibisse in costume da bagno. Jim Brown affittò per Jayne
un costume di lamé d'oro, un bikini di velluto rosso e la portò a
Silver Springs, dove c'erano quattrocento fra giornalisti e
fotografi. «Dio, quel costume!
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