Page 416 - Oriana Fallaci - 1968
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d’essere spento. Lo strano veicolo vi si dirige ronzando, era a
                dieci miglia ed ora è già a cinque, a quattro, a tre, a due, a uno,

                si abbassa a mo’ di elicottero, si posa in mezzo al cratere e lo
                strano veicolo che chiamano LEM sembra una sedia, o davvero

                un insetto. Ci siamo? Ci siamo. I motori si spengono. Due paia
                di  occhi  frugano  oltre  gli  oblò.  Oltre  gli  oblò  si  stende  un
                deserto cui manca anche il vento, e quella è la Luna. La Luna?

                Non si vede che lava, e poi rocce, e poi di nuovo lava, e poi di
                nuovo rocce. Il cielo è un inchiostro bucato di luci e tutto sta

                fermo,  una  quiete  di  morte.  Attraverso  i  caschi  di  plexiglas,  i
                due astronauti si guardano per ritrovare nei reciproci sguardi la

                vita. Quanto conforto può dare uno sbatter di ciglia, un girar di
                pupille. La Terra intera, col suo verde e il suo azzurro, in uno

                sbatter di ciglia, in un girar di pupille. E la voce del compagno
                che vola, lassù, è all’improvviso la voce del padre, la madre, la
                donna che ami, è la musica più bella che hai udito.

                    «LEM. Qui LEM. LEM chiama Apollo. Ci senti?»
                    «Apollo. Qui Apollo. Apollo chiama LEM. Vi sento»

                    «LEM. Qui LEM. È fatta, ci siamo»
                    Della  Terra  non  son  rimasti  che  due  sguardi,  una  voce.  E

                nient’altro ha importanza. Se quel coso ce la farà a risalire, se
                quell’altro  coso  ce  la  farà  a  tornar  nell’azzurro,  atterrare,  i

                giornali strilleranno come cornacchie sul primo che è sceso, sul
                primo che ha messo piede sopra la Luna. Per loro due nemmen
                questo conta. Io sono te e tu sei me. Se io vivo, tu vivi. Se tu

                vivi, io vivo. Se io muoio, tu muori. Se io scendo per primo, tu
                scendi per primo. Se tu scendi per primo, io scendo per primo.

                Coraggio, fratello. Che Dio ti protegga, fratello. Uno sportello si
                apre, una scala di alluminio si allunga fino a toccare il suolo. Un
                uomo scende con tutto il suo carico di strumenti e di ossigeno:

                strana creatura chiusa in uno scafandro.
                    […]






                Houston, il porto alla Luna
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