Page 233 - Oriana Fallaci - 1968
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                                         Lima, la città perduta






                Oriana non si ferma mai, ancora qualche settimana e si trova in

                Perù.  Da  Lima  fa  il  ritratto  degli  indios  in  cui  si  riflette  il
                dramma tipico di tutti i paesi latinoamericani.



                                                                                      Lima, maggio



                Da queste fotografie ne manca una che non ebbi il coraggio di

                scattare: la fotografia di una bambina che stava morendo, e poi
                morì,  di  fame  sotto  gli  occhi  dei  suoi  genitori.  La  bambina

                aveva sei settimane e la madre non l’allattava dai primi giorni di
                vita. Perché aveva perso il latte. Avendo perso il latte, la nutriva

                con  lo  stesso  cibo  con  cui  nutriva  se  stessa:  loppa  di  grano,
                bucce di patata, papaya, rifiuti raccolti nella spazzatura di Lima.
                Nei giorni di festa, fagioli. La quarta settimana la bambina non

                aprì  più  la  bocca.  E  così  divenne  ciò  che  trovai  dentro  un
                tugurio che sembrava cadere a ogni soffio di vento, una specie

                di  stanza  composta  di  legno  marcio  e  lamiera,  con  un  telone
                pieno di buchi per tetto. Ciò che trovai era un fagotto informe di
                stracci maleolenti e da questi stracci usciva un minuscolo volto

                che  non  era  più  il  volto  di  una  bambina  ma  la  maschera
                mummificata e ridotta di un centenario, una di quelle teste che

                le tribù Guajiro ricavano dai loro cadaveri nei villaggi sperduti
                dell’Amazzonia con un lento processo di disidratazione. I suoi

                occhi  eran  chiusi.  Dalle  labbra  serrate  non  usciva  il  pianto  di
                tutti i bambini del mondo ma un guaito fioco, direi animalesco.

                    I genitori, un giovanotto e una ragazza di circa vent’anni, la
                guardavano zitti, con le braccia incrociate. E sui loro visi color
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