Page 231 - Oriana Fallaci - 1968
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La tragedia definitiva del Vietnam esplose la sera del 31
marzo quando Johnson apparve alla televisione e si dichiarò
pronto a intavolare negoziati. Qui nessuno dubita ormai che
scorrerà più sangue durante i negoziati di quanto non ne sia
scorso negli anni in cui la pace era un sogno pressoché assurdo.
Diecimilasettecento case sono state distrutte in questi giorni a
Saigon; il puzzo dei cadaveri non è mai stato così
insopportabile, cammini per certe strade frenando i conati di
vomito e siamo tutti ammalati dalle loro esalazioni di gas.
Qui, stamani, è arrivato a Saigon un telegramma. Veniva da
Buenos Aires ed era inviato dal quotidiano «La Nación» al suo
corrispondente Ignacio Ezcurra. Diceva: «Preghiamo
trasmettersi immediatamente duemila parole su reazione
commenti saigonesi ad apertura negoziati Parigi et prospettive
di pace». Ignacio Ezcurra non l’ha ricevuto. Ignacio Ezcurra
non scriverà mai quelle duemila parole.
Un telegramma senza risposta
Ignacio Ezcurra era giunto a Saigon il 24 aprile scorso, per
restarci un mese. C’è rimasto soltanto quattordici giorni, fino a
mercoledì 8 maggio. Quel giorno la battaglia a Cholon
continuava. Si allontanò dall’albergo dicendo: «Vado a dare uno
sguardo in giro e a raccattare qualche storia». Non tornò più e il
suo corpo non è stato mai ritrovato, però, press’a poco nello
stesso momento in cui giungeva quel telegramma, un fotografo
giapponese s’è presentato all’albergo per dire che, sviluppando
un rotolino dimenticato, s’era accorto d’aver fotografato un
cadavere che poteva essere quello di Ignacio Ezcurra. Abbiamo
tutti teso le mani verso l’istantanea che il giapponese stava
porgendo e in essa si vedeva un giovanotto con le mani legate
dietro la schiena, bocconi per terra, ucciso con due colpi alla
nuca.
Il volto non si riconosceva, ma il naso era quello di Ignacio