Page 80 - Canti di Castelvecchio
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55. La servetta di monte

              Sono usciti tutti. La serva
            è in cucina, sola e selvaggia.
            In un canto siede ed osserva
            tanti rami appesi alla staggia.
            Fa un giro con gli occhi, e bel bello
            ritorna a guardarsi il pannello.
              Non c'è nulla ch'essa conosca.
            Tutto pende tacito e tetro.
            E non ode che qualche mosca
            che d'un tratto ronza ad un vetro;
            non ode che il croccolìo roco
            che rende la pentola al fuoco.
              Il musino aguzzo del topo
            è apparito ad uno spiraglio.
            E` sparito, per venir dopo:
            fa già l'acqua qualche sonaglio...
            Lontano lontano lontano
            si sente sonare un campano.
              E` un muletto per il sentiero,
            che s'arrampica su su su;
            che tra i faggi piccolo e nero
            si vede e non si vede più.
            Ma il suo campanaccio si sente
            sonare continuamente.
              E` forse anco un'ora di giorno.
            C'è nell'aria un fiocco di luna.
            Come è dolce questo ritorno
            nella sera che non imbruna!
            per una di queste serate!
            tra tanto odorino d'estate!
              La ragazza guarda, e non sente
            più il campano che a quando a quando.
            Glielo vela forse il torrente
            che a' suoi piedi cade scrosciando;
            se forse non glielo nasconde
            la brezza che scuote le fronde;
              od il canto dell'usignolo
            che, tacendo passero e cincia,
            solo solo con l'assiuolo
            la sua lunga veglia comincia,
            ch'ha fine su l'alba, alla squilla,
            nel cielo, della tottavilla.











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