Page 76 - Canti di Castelvecchio
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53. Il mendico

            I
              Soletto su l'orlo di un lago
            che al rosso tramonto riluce,
            v'è un uomo col refe e con l'ago
                   che cuce
                   tra l'erica bassa.
              E cuce; e nel cielo turchino
            già ridono l'aspre civette,
            e il lago sul capo suo chino
                   riflette
                   qualche ala che passa.
              E cuce; e i suoi cenci nell'acqua,
            trapunta di tacite bolle,
            si specchiano, e l'ombra li sciacqua
                   con murmure molle.

            II
              Ma in tanto che, ombrato da un velo,
            nell'acqua il lavoro suo fiotta,
            tra l'urto dei cirri del cielo
                   s'è rotta
                   la tenue gugliata.
              Egli alza la testa. Il suo filo
            s'è rotto; e si sente dai tufi,
            dall'inaccessibile asilo
                   dei gufi,
                   la morte che fiata.
              E piccolo il sole che muore,
            gli appare traverso la cruna
            dell'ago. Egli dice nel cuore:
                   - Ti lodo, Fortuna!

            III
              Nel mondo a te piacque gettare
            tuo figlio, terribile e gaia,
            siccome al fanciullo, nel mare,
                   la ghiaia
                   che sbalzi su l'onde.
              Ma tutto m'hai dato a ch'io viva:
            la mano, che regge la croce,
            il piede, che mai non arriva,
                   la voce,
                   cui niuno risponde.
              M'hai dato la dolce speranza
            che arretra se il cuore si avvia,
            l'immemore cuore che avanza
                   su nave che scìa.



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