Page 72 - Canti di Castelvecchio
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ancora scorre a te, di quelle, e il labbro
            balbetta ancora, sì: “Papà! Papà!”


            51. Il nido di “farlotti”

              Tra gli autunnali giorni ricorre
            al mio pensiero sempre quel giorno,
            che dal palazzo, dalla gran Torre,
            facemmo un tanto mesto ritorno:
              ritorno tanto mesto, sebbene
            fosse alla bianca nostra casina
            che aveva ai piedi tante verbene
            e su pei muri tanta cedrina;
              dov'era, dietro siepi riquadre
            di biancospino, dietro un cancello
            verde, ciò ch'era della mia madre,
            nostro, ma poco; poco, ma bello.
              Io non credeva, fuori che in sogno,
            fossero altrove gigli e giaggioli,
            e il dolce odore del catalogno
            e gli agri pomi de' lazzeruoli:
              e ch'altro al mondo fosse che il troppo,
            dopo le canne fitte dell'orto
            e la mimosa, ch'è morta, e il pioppo,
            ch'è morto, e l'alto cedro, ch'è morto.
              Oh! sì, com'era mesto il ritorno,
            e sì, la sera com'era mesta,
            ben ch'in San Mauro fosse, quel giorno,
            un'argentina romba di festa!
              Ma morto il babbo da più d'un mese,
            non c'era posto per i suoi nati
            più, nella Torre, sì che al paese
            ritornavamo come scacciati.
              Noi s'era in otto, nove con essa,
            nella carrozza, piccoli, stretti
            a lei che stava bianca e dimessa
            tra lo scoppiare dei mortaretti;
              che si vedeva pallida e magra
            tra il rintoccare delle campane.
            Noi si tornava per una sagra
            senza più padre senza più pane.
              E disse un uomo; disse: e l'udiva
            ella e ne pianse le lunghe notti
            e ne fu trista fin che fu viva,
            un anno: “Un nido, ve', di farlotti!”
              Verlette, quando v'odo cantare,
            nunzie che il caldo viene e la state,
            nelle mattine tacite e chiare,
            nelle opaline lunghe serate;


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