Page 297 - Sbirritudine
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colleghi,  amici,  uomini  d'onore,  politici,  ruffiani,  tossici,  spacciatori,
              pedofili, preti, ladri. Ma era me stesso che trovavo ogni volta: ero io

              che venivo arrestato, pezzo per pezzo, e ora non c'ero più. Ero sparito,
              non restava più niente di me. Mi avevano usato contro me stesso. Mi
              ero usato contro me stesso. Avevano usato il mio odio. E la mia rabbia.
              E  la  mia  vita.  Non  mi  restava  altro  da  fare  che  consegnarmi  a  loro:

              avevano vinto.

                 Non  riuscii  a  resistere  che  poche  settimane,  poi  crollai. Andai  dal
              questore e gli chiesi di essere trasferito.

                 «Dove vuole andare?»
                 «Dove  non  posso  più  fare  del  male  a  Cosa  Nostra,  a  voi  e  a  me

              stesso.»
                 Mi  mandarono a  Roma, da  mia  moglie. Provai a resisterci,  ma era

              dura. Roma mi ingoiava ogni giorno e mi vomitava ogni sera. Poi mi
              mandarono al Nord, in un paesino vicino Milano, e poi in Toscana. Mi
              stavano spezzando. Non volevano che ricominciassi. Non capivano che

              non avrei più potuto farlo: ero finito. Poi mi rimandarono in Sicilia, a
              Palermo,  prima  in  un  ufficio  passaporti  e  dopo  in  archivio.  Mi
              trasformarono in un impiegato.





                 Arrivo  sotto  casa  e  guardo  l'ora.  Tra  poco  squillerà  il  telefono.
              Respiro  e  guardo  il  sole.  Combattere  la  mafia  significa  combattere
              contro  il  proprio  Paese.  Io  sono  stato  un  traditore,  un  terrorista,  un

              nemico dell'Italia, uno a cui dare la caccia. Uno che ha odiato la sua
              terra.  Per  combattere  la  mafia  dovevo  combattere  la  gente,  i  miei
              colleghi, la mia famiglia, i miei superiori e il loro modo di pensare. Ero
              io quello difettato, perché per tutti gli altri non c'era alcun problema.

                 La  mafia  non  sta  in  parlamento.  Così  come  non  è  tra  i  giudici,  i

              politici  e  i  poliziotti.  Ero  io  che  non  volevo  capire  come  stavano  le
              cose,  ero  io  il  rompicoglioni,  io  la  testa  di  minchia.  Ogni  volta  mi
              facevano  lo  stesso  discorso:  lascia  perdere,  funziona  così.  E  io  non
              capivo,  e  loro  mi  guardavano  come  si  guarda  un  cretino.  Con  pietà.

              “Non capisce” si dicevano, “non può capire, non ce la fa.” Quelli che
              hanno scelto di convivere con la mafia si sentono più intelligenti, più
              furbi,  più  sperti,  più  corna  dure,  più  scafati,  più  capaci,  più  bravi,

              migliori  di  me.  Migliori  della  gente  onesta.  E  forse  è  vero:  io  ero
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