Page 298 - Sbirritudine
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stupido. Io sono stupido. Non ci arrivo a ragionare come loro, perché
mi manca la testa per farlo. Loro sono avvocati, senatori, giudici,
giornalisti, imprenditori, manager, sindaci e capi del governo. E hanno
capito. Dato che io non sono come loro, mi mettono da parte come si fa
con i diversi: la normalità è la mafia. La normalità è dire e pensare che
la mafia non esiste. La normalità è credere che sia vero. La normalità è
andare a votare, comprare, vivere in un Paese come questo. E la
diversità fa paura, perché dimostra che esistono altri modi di vedere le
cose. Che esiste la morte. Che esiste la malattia. Che esiste la mafia.
Può un poliziotto combattere la mafia? No. E come può? La mafia non
esiste.
Mia moglie mi apre la porta.
«Dove sei stato? Hai lasciato il cellulare a casa…» Le sorrido. Lei mi
guarda e non ha bisogno di chiedermi altro. Mio figlio mi saluta
nervoso, come sempre. Mia figlia entra nella stanza e mi fa una smorfia
dispettosa. Squilla il telefono.
«Vado io» dico, «è per me.» Rispondo. «Pronto?»
«Sono il dottor Di Giovanni.» Il questore. Lui in persona.
«Buongiorno.»
Dal mio tono formale mia moglie e i miei due figli si bloccano e mi
fissano.
«Noi non ci conosciamo, ma io sono uno che va subito al sodo.
Diamoci del tu, ti va?»
«Certo.»
«Ho bisogno di te.»
Ma io non ho bisogno di te, penso.
«Stiamo provando a stringere il cerchio» continua lui, «vogliamo fare
sul serio. Cosa Nostra deve essere abbattuta. Ci servono poliziotti
capaci, che non guardano in faccia nessuno. Poliziotti come te.»
«La ringrazio, è una bella prospettiva, ma io non so se sono più in
grado di…»
«Lasciami finire. Ti voglio parlare con franchezza.»
Quanti l'avevano fatto prima di lui: parlare con franchezza, dire le
cose come stanno, non andare per il sottile, andare dritto al cuore del
problema. Parlano così, i questori. Parlano, appunto: parlano e basta.