Page 114 - Prodotto interno mafia
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trovare una sistemazione, un posto. Le nostre parrocchie si fanno
carico di pagare qualche utenza o di offrire latte e pasta, ma non
abbiamo risorse sufficienti per far fronte alle emergenze di una
città intera.
Ha avvertito subito la presenza della criminalità organizzata
sul territorio di Mazara?
Ricordo ancora le chiacchierate iniziali con i sacerdoti del mio
presbiterio: realizzai subito quanto fosse ancora molto forte il
condizionamento mafioso e che certi ritardi e lentezze
dipendevano proprio dalle intimidazioni e infiltrazioni dei boss
nella gestione degli appalti.
Nel trapanese il risvolto principale della crisi, cioè la
disoccupazione, rischia di rafforzare le organizzazioni mafiose:
c’è il luogo comune, radicato nella mentalità di tanti siciliani,
secondo cui la mafia dà lavoro e la lotta alla mafia crea
disoccupazione. Nella provincia di Trapani il fenomeno
criminale non è per nulla vinto: il primo dei ricercati, Matteo
Messina Denaro, è un nostro diocesano. Eppure non c’è una
percezione chiara della presenza di Cosa nostra sul territorio. È
difficile sentire odore di mafia, sono coinvolti troppi
insospettabili, troppi colletti bianchi.
Nel 2009 l’incendio di una struttura confiscata ai criminali e
affidata alla fondazione San Vito che si occupa di assistenza agli
immigrati, fu un chiaro segnale che la presenza della Onlus non
era gradita alla mafia. Episodi come questo ci ricordano che,
nonostante una calma apparente, i criminali non si sono
rassegnati e sottoterra ci sono fili che continuano a muoversi.
Qual è stata la sua prima reazione?
Anche in mancanza di una strategia esplicita per opporsi a
Cosa nostra, un’azione di consapevolezza e di formazione inizia
dal coraggio di pronunciare la parola mafia. Non bisogna aver
paura di chiamarla per nome, di dire che esiste. Quello che noi
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