Page 117 - Mani in alto
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Mercoledì 30 luglio 1952: la sentenza















           La Corte è riunita in camera di consiglio dalle nove e un quarto.

           Tutti gli imputati attendono con visibile turbamento la sentenza, la folla fuori aspetta
          impaziente.
           Verso mezzogiorno arrivano nella gabbia wafer e biscotti. Paolo arraffa tutto e
          trangugia con avidità.

           «Allora? Sono o non sono io il capo…» dice verso Zucchero e il Biondino, che
          reclamano un biscotto.
           E dopo venti giorni e ben ventitré udienze si attende un giudizio che, a dire il vero,
          pare già scritto.

           Dopo oltre sei ore di camera di consiglio il presidente della Corte di Assise di
          Bologna legge finalmente la sentenza contro la banda Casaroli.
           «In nome del popolo italiano, la Corte d’Assise di Bologna nel procedimento
          penale contro Casaroli e altri. Visti gli articoli 477, 479, 482…»

           Paolo indossa un elegante gessato e porta leggeri occhiali da vista, tutti ascoltano in
          religioso silenzio.
           «Condanna Casaroli Paolo alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per anni
          due e a lire cinquecentoquarantamila di multa»

           «Me l’aspettavo…» mormora Paolo rivolto a un giornalista.
           «Ordina che la presente sentenza sia pubblicata per estratto mediante affissione nei
          Comuni di Bologna e di Roma, nonché per una volta sui giornali: “Giornale
          dell’Emilia” di Bologna e il “Tempo” di Roma»

           Il presidente della Corte d’Assise ha terminato di leggere la sentenza.
           «Avete qualcosa d’aggiungere?» chiede, rivolgendosi direttamente a Casaroli.
           L’aula ripiomba nel silenzio e trattiene il respiro.
           «Per essere coerente con la personalità attribuitami dai giornalisti, dovrei ora dire

          qualcosa di fatidico da tramandare ai posteri…»
           Un vibrante brusio si leva dalla sala. Il presidente della Corte d’Assise interrompe
          bruscamente Paolo Casaroli e intima il silenzio in aula.
           Il pubblico rumoreggia, il caldo si fa sempre più insopportabile. Una signora agita

          nervosamente il ventaglio, qualcuno si asciuga il sudore dalla fronte con il fazzoletto.
           «Cosa stava per dire, signor Casaroli?» chiede da fuori la gabbia un giornalista con
          il cappello.
           «Sparate al petto, ma non rovinatemi la faccia» risponde Paolo con un largo sorriso.
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