Page 116 - Mani in alto
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È una signora non più giovane, indossa un abito di seta verde smeraldo a fiori
bianchi. Il suo cappellino intonato al vestito attira gli sguardi curiosi di tutti i
presenti. Si dice che sia un’attrice o una cantante, qualcuno mormora che sia la
fidanzata torinese di Paolo.
La Luisa le lancia occhiate pungenti.
Quando Paolo risale sul cellulare che lo riporta in prigione, la Luisa è fuori con le
sue due amiche e lo saluta sventolando un fazzoletto bianco.
All’udienza del 25 luglio Paolo si presenta vestito tutto in ghingheri. Doppiopetto
nero a grosse righe bianche, fazzoletto candido di batista al taschino e una linda
camicia a maniche lunghe nonostante il caldo.
«Oggi è una data che non posso dimenticare!» si lascia sfuggire mentre entra nella
gabbia.
I giornalisti s’interrogano sul significato di quella frase. Dalla gabbia però non
trapela nulla e Paolo resta chiuso nel suo riserbo. Allora si cerca di scrutare le
reazioni tra il pubblico nel morboso intento di carpire un cenno d’intesa, un sorriso
di compiacimento di qualcuno.
L’udienza continua con le arringhe degli avvocati dell’accusa. Sembra un copione
già scritto, tanto che il giorno successivo Paolo nemmeno si presenta in aula, è un
diritto che la legge riconosce a tutti gli imputati.
Forse è stanco di farsi fotografare in catene.
Invia soltanto una lettera alla Corte in cui protesta perché non gli viene consentito di
parlare con gli amici presenti e dichiara anche di essere un po’ raffreddato.
Stavolta, per conoscere che cos’ha in serbo il destino per lui, non ha bisogno di
lanciare in aria una scatola di cerini.