Page 889 - Shakespeare - Vol. 4
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funzionamento. Questa è l’azione centrale dell’opera: la rappresentazione del
tentativo dell’uomo di instaurare un rapporto con il reale, del suo sforzo per
percepirlo, individuarlo, fissarne i lineamenti − e delle difficoltà che incontra,
degli inganni che subisce, della fatica con cui giunge ad un grado (che è
sempre imperfetto, mai totale e totalizzante) di conoscenza. Questa è la vera
avventura che ha luogo sull’isola e di cui partecipano, in vario grado e con
vario esito, tutti i personaggi, sia i nobili che gli umili e gli oppressi (perché la
tempesta e l’isola tutti accomunano in un solo destino, sì che il re Alonso non
è, in quanto re, meno perplesso di Stefano e Trinculo − e anzi, proprio lui
appare il più perplesso, il più incerto di tutti di fronte al mondo «strange»,
come ripetutamente dice, che lo circonda); sia i buoni che i malvagi (perché il
problema, qui, non è che marginalmente di bene e male, non essendo più
queste le domande che Shakespeare si pone − ed è per questo che la
tragedia non è possibile − e il buon Gonzalo è sullo stesso piano, in questo
senso, dei villains Antonio e Sebastiano); sia coloro che già conoscono la vita
sia coloro, come Miranda, che non la conoscono; sia Prospero che conosce più
degli altri ma che a sua volta deve attraversare le sabbie mobili dell’illusione
e dell’errore, sia, e specialmente, lo spettatore, la cui avventura non è quella,
consueta seppur sempre memorabile, di assistere a uno spettacolo, ma
quella − cui il suo stesso straniamento lo costringe − di compiere a sua volta
un cammino di conoscenza, di confrontare di momento in momento, di scena
in scena, la propria conoscenza (più vasta ma mai totale, perché nemmeno lo
spettatore, come nessuno, qui, è padrone del mondo) con quella dei
personaggi, di porsi, di fronte alla tempesta, e all’isola, le stesse domande
cercandone, come loro, le risposte.
Se questo cammino è faticoso e arduo e l’isola − che è dunque tutto ciò che
si è detto ma è, in primo luogo, il reale (così come lo è la tempesta) − si
configura come il vero «labirinto con sentieri prima dritti e poi tortuosi» di cui
parla Gonzalo; e se per conoscere bisogna attraversare non solo l’illusione,
non solo l’inganno, ma anche la degradazione e la follia, la conclusione del
cammino non è certo rasserenante. Gonzalo − che sempre tenta di comporre
le lacerazioni della realtà − può sì dire che tutto si è concluso bene e tutti
hanno trovato sé stessi «quando nessuno / Era padrone di sé» (V, i, 213). Ma
trovare sé stessi, essere «padroni di sé», non significa uscire dall’avventura
possedendo il reale, acquistando una verità definitiva. Tutti mutano, certo,
perché il mutamento, la metamorfosi, è il principio stesso della vita, ma la
verità che si acquista è soprattutto conoscenza della propria precarietà e
debolezza, della propria imperfezione e finitudine. Solo Ariel potrà avere un