Page 884 - Shakespeare - Vol. 4
P. 884

il meccanismo della vita.
          Ma insieme e più ancora che della musica, di un altro strumento Shakespeare
          si  vale  per  esercitare  un  controllo,  dare  ordine  al  caos,  offrire  un  centro
          organico  ai  mille  rivoli  in  cui  il  gran  mare  della Tempesta  potrebbe

          disperdersi: ed è il teatro. Perché la Tempesta, la rappresentazione teatrale
          alla  quale  noi  spettatori  assistiamo,  contiene  e  spesso  si  identifica  con
          un’altra rappresentazione teatrale, che è quella messa in scena da Prospero.
          Se  Prospero  è  duca  e  padre,  scienziato  e  colonizzatore,  Prospero  è  anche

          artista  (e  la  sua  vicenda  è  anche  vicenda  dell’artista),  e  in  specie
          drammaturgo,  e  invero  la  sua  azione  magica  coincide  con  l’allestimento  di
          spettacoli teatrali: è lui a «inventare» la tempesta, è lui a scrivere il copione
          secondo il quale si muovono, o dovrebbero muoversi, i vari personaggi, è lui a

          produrre  i  vari masques  che  scandiscono  l’opera.  E  se  Ariel  è  lo  spirito  al
          servizio del mago Prospero e in attesa della propria libertà, egli è anche e
          soprattutto «teatrante»: è l’aiuto di Prospero, colui anzi che ne realizza gli
          spettacoli  (dalla  tempesta  ai masques,  dai  giuochi  illusionistici  ai  trucchi

          anche perfidi); e Ariel è musico, mimo, danzatore, fool, attore: tutti i mezzi
          del teatro confluiscono in lui, e lo testimonia il suo linguaggio, che non è un
          linguaggio  ma  tutti  i  linguaggi.  L’isola,  allora,  quest’isola  che  è
          contemporaneamente vicina alle Bermude e nel Mediterraneo, se è la natura,

          se  è  il  mondo,  l’America,  l’Inghilterra,  se  è  il  ricordo  di  tutte  le  isole  che
          l’hanno preceduta nella tradizione letteraria (e l’annuncio di tutte quelle che
          la  seguiranno,  dall’isola  di  Robinson  a  quelle  della  fantascienza),  l’isola  è
          anche  il  palcoscenico,  è  il  teatro,  è,  persino,  quel  teatro  di  Blackfriars  nel

          quale Shakespeare ormai operava, è quel teatro di corte in cui la Tempesta
          veniva rappresentata. E se è, come si diceva, una grande conchiglia sonora,
          tra i suoni che in essa riecheggiano vi sono i mille echi delle opere stesse di
          Shakespeare. E non solo di quelle, come è naturale, che alla Tempesta sono

          più vicine nel tempo, e più vicine per temi e linguaggio: Il racconto d’inverno,
          appunto, e Cimbelino, e Pericle, dove ritroviamo gli stessi simboli (e anzitutto
          il  mare),  le  stesse  situazioni  (il  rapporto  tra  padri  e  figli),  simili  figure
          (Perdita,  Imogene,  Miranda,  Marina),  simili  temi.  Ma  gli  echi  di  opere  più

          lontane nel tempo: Otello (e si pensi, rimanendo alla superficie di un rapporto
          che  può  essere  molto  profondo,  all’affinità  tra  il  «diverso»  Otello  e  il
          «cannibale»  Caliban;  o  a  quella  Cipro  che  è,  pur  con  tante  differenze,
          un’anticipazione  di  quest’isola;  e  alla  stessa  tempesta);  e  poi Misura  per

          misura (ché certo il Duca di Vienna non è molto lontano dal Duca di Milano,
          così  come  dietro  entrambi  si  scorge  l’interlocutore-personaggio  Giacomo I);
   879   880   881   882   883   884   885   886   887   888   889