Page 597 - Shakespeare - Vol. 4
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Griselda (l’ultima novella del Decamerone), rinarrata da Chaucer nel racconto
          dello studente e poi ripresa da altri in Inghilterra; e poi il mito di Cerere e
          Proserpina, o quello di Alceste, tornata dal mondo dei morti, dopo il sacrificio.
          Va anche detto, comunque, che lo stesso successo del Pandosto è una prova

          di  quanto  esso  fosse  immerso  nel  folclore  popolare.  È  probabilmente  per
          questa  ragione  che  piacque  tanto  a  Shakespeare,  che  scelse  di  adoperarlo
          come  trama-scheletro  per  la  sua  opera.  Qualcosa  di  molto  simile  dovette
          succedere  a  Giuseppe  Verdi  quando  scelse La  dame  aux  camélias  (prima

          romanzo e poi dramma) di Dumas-figlio come blueprint per la sua Traviata.
          Due opere d’arte di diverso genere e diversissime tra loro, ma con una trama
          «folcloristica» di grande attrazione e attualità per il pubblico dell’epoca.
          The  Winter’s  Tale   è  stato  accusato  d’improbabilità,  d’improvvisazione

          drammatica senza un piano logico, di giunte dell’ultimo minuto (la scena della
          statua  vivente,  per  esempio,  solo  perché  non  è  citata  dal  Dr.  Forman)  o
          addirittura  di  essere  un  condensato  di  due  drammi,  uniti  insieme
          dall’intervento  del  Tempo-coro  all’inizio  del IV Atto. (Un’ipotesi avanzata da

          Gabriele Baldini nel giudizio complessivamente negativo che dà del Winter’s
          Tale  nel  suo Manualetto  shakespeariano).  In  epoche  razionaliste  gli  sono
          state  rimproverate  inconsistenze  storiche  e  geografiche  come  la
          consultazione  dell’oracolo  di  Delfi  in  un’Europa  di  regni  cristiani  (Impero  di

          Russia, Regno di Boemia) e in cui è attivo l’artista italiano Giulio Romano, poi
          la confusione tra Delfi e Delo e infine la costa della Boemia. A parte il fatto
          che  anche  per  gli  elisabettiani  colti,  come  appunto  il  Greene,  queste  non
          erano improbabilità e inconsistenze, ma solo convenzioni letterarie, non mi

          sembra che questi «difetti» rendano la fiaba grottesca, svuotandola, perciò,
          dei  suoi  significati  simbolici.  Perché  una  fiaba,  come  un  sogno,  mescola  il
          simbolico con il quotidiano: i suoi personaggi devono parlare come le persone
          che conosciamo e le situazioni devono essere simili a quelle della nostra vita.

          Se la fiaba o il sogno sono troppo assurdi e campati per aria, perdono per noi
          ogni  interesse.  Solo  personaggi,  oggetti  e  situazioni  verosimili  possono
          diventare  simboli  e  poesia.  Per  questo  difendo  qui,  e  nelle  mie  note,  la
          verisimilitudine di questo «racconto d’inverno». Niente di male dunque se un

          re di Sicilia manda a consultare l’oracolo di Delfi come un tribunale supremo,
          né che Delfi sia confusa con l’isola di Delo, né che una gran dama siciliana
          chiami Giulio Romano a decorare la sua villa, o che decida di nascondere per
          sedici  anni  la  vittima  di  un  paranoico  finché  non  ha  le  prove  che  il

          «penitente» sia completamente guarito. Né che il regno di Boemia abbia una
          costa, perché diverse volte nel medioevo e nel rinascimento, e anche mentre
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