Page 1757 - Shakespeare - Vol. 4
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39 II,  iii,  65  Titolo  e  appannaggio  vennero  conferiti  ad  Anna  nel  1532,  a  pochi  mesi  dal  matrimonio
                 segreto col Re.
              40 II, iii, 79 Primo accenno alla futura grandezza della Regina Elisabetta, che prepara la radiosa profezia
                 di Cranmer nella scena finale.

              41 II, iv, didascalia La scena è ambientata a Blackfriars dove, nel maggio 1529, si aprì il processo alla
                 Regina: con lo spettacolo senza precedenti di un re chiamato a testimoniare dinanzi a un tribunale
                 ecclesiastico, nella sua stessa capitale, da una potenza straniera quale la Santa Sede. Che per di
                 più, il 22 luglio, l’avrebbe convocato a Roma per la ripresa dei lavori. Era troppo per l’orgoglio del
                 monarca inglese, a sì breve distanza dal collasso dei suoi ambiziosi disegni di politica estera: da qui la
                 sua decisione di disfarsi di Wolsey, che di quella politica era stato lo strumento. I dettagli cerimoniali
                 e coreografici son derivati da Holinshed. L’Arcivescovo di Canterbury presente in scena con gli altri
                 prelati è William Warham (1450-1532), tra i più autorevoli consiglieri di Enrico nella prima fase del
                 regno.  La  sua  longevità  aveva  impedito  a  Wolsey  di  succedergli  nella  più  ambita  sede  vescovile
                 d’Inghilterra.
              42 II,  iv,  239  La  battuta  segnala  l’inizio  dell’ascesa  di  Cranmer  nel  favore  del  Re,  e  tradisce  una
                 crescente, malcelata insofferenza e sfiducia nei confronti del Cardinale. Cranmer si trova, in questo
                 momento, in missione per il Continente, a raccogliere pareri di giuristi e teologi sulla questione del
                 divorzio. Nell’agosto 1532, alla morte di Warham, Enrico lo richiamerà dall’Italia per fare di lui il nuovo
                 Arcivescovo  di  Canterbury,  ottenendo  anche,  in  extremis,  l’avallo  del  Pontefice.  Quanto  alle
                 «lungaggini  dilatorie»  lamentate  dal  Re,  Campeggio  era  riuscito  persino  a  giocare  sul  diverso
                 calendario legale della Santa Sede, nell’aggiornare a Roma il processo, riconvocandolo in ottobre.

              43 III, i, didascalia La scena ci riporta negli appartamenti della Regina. Per il duro confronto fra i due alti
                 prelati e Caterina il poeta segue la falsariga di Holinshed, amplificando tuttavia il ruolo della Regina,
                 che  tiene  testa  alle  due  vecchie  volpi  ecclesiastiche  con  dignità,  orgoglio  ed  eloquenza  appena
                 avvertibili nel resoconto del cronista. Se poi, alla fine, si rassegna a piegarsi, è nella consapevolezza
                 della propria assoluta solitudine.

              44 III, i, 144 Allusione al celebre aneddoto su Papa Gregorio Magno, colpito dalla bellezza di un gruppo
                 di giovani prigionieri inglesi: «Non Angli, sed angeli» (ma avrebbe aggiunto, Gregorio, che a quei volti
                 d’angelo corrispondevano cuori posseduti dal Maligno). Vedi anche il detto popolare, Fair face, foul
                 heart (‘bel volto, anima nera’).
              45 III,  ii, didascalia La scena ha luogo in una sala del Palazzo, ed è costruita amalgamando diverse
                 fonti, da Holinshed a Foxe e allo Speed. Con i suoi 459 versi è di gran lunga la scena più estesa,
                 movimentata  e  articolata  del  dramma,  di  cui  costituisce  il  climax.  Il  movimento  iniziale  ripropone
                 quello del I atto: un gruppo di nobili ostili a Wolsey vien tacitato dalla comparsa del Cardinale, sicuro
                 e arrogante nella pienezza dei suoi poteri. Poi, la comparsa del Re, con il colpo di scena: la sorte di
                 Wolsey è segnata. Indi, lo scambio di aspre contestazioni fra Wolsey e i suoi nemici trionfanti, e il
                 Cardinale che, rimasto solo, dà l’addio alla propria grandezza. Infine, il lungo commiato di Wolsey dal
                 fido Cromwell: una scena nella scena che è largamente creazione shakespeariana.
                 Lord Surrey è Henry Howard (1517-1547), primogenito di Norfolk, valente uomo d’armi e raffinato
                 poeta (a lui, come al coetaneo Sir Thomas Wyatt, si deve l’introduzione del sonetto petrarchesco in
                 Inghilterra).  Fu  a  lungo  considerato  un  possibile  candidato  alla  mano  della  principessa  Maria.
                 Coinvolto, nella seconda parte del regno di Enrico, nelle lotte di potere fra gli Howard e i Seymour ed
                 accusato da questi ultimi di cospirare, con il padre, per la successione, finì trentenne sul patibolo,
                 pochi giorni prima della morte del Re.
              46 III, ii, 52 Secondo preannuncio, in chiave di intuizione profetica, del futuro avvento di Elisabetta.

              47 III, ii, 62 L’«Ohibò!» di Enrico (un vigoroso Ha! d’indignazione) ricorre con frequenza nel dramma di
                 Rowley, e contribuisce alla caratterizzazione dell’ombroso e collerico sovrano Tudor.

              48 III, ii, didascalia dopo il verso 74 Thomas Cromwell (1485-1540), fidato consigliere di Wolsey sin dal
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