Page 1753 - Shakespeare - Vol. 4
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12 I,  ii, didascalia  Enrico VIII  (1491-1547)  era  salito  al  trono  nel  1509:  giovane  di  grande  prestanza
                 fisica e grandi energie, assai colto, sinceramente religioso, volitivo, sicuro di sé e della sua missione
                 regale  e  benvoluto  dai  sudditi,  per  tutta  la  prima  fase  del  suo  regno  coltivò  l’ambizione  di  fare
                 dell’Inghilterra  una  potenza  di  primo  piano  nel  contesto  europeo,  delegando  al  Wolsey  −  che  dal
                 1515  al  1527  esercitò  un  ferreo  controllo  sulla  macchina  dello  stato  −  amplissimi  poteri.
                 Ridimensionate  tali  ambizioni  e  avviata  al  tramonto  la  stella  di  Wolsey,  il  Re  si  lasciò  assorbire  da
                 preoccupazioni  di  ordine  interno:  prima  fra  queste  il  problema  dinastico  rappresentato  dalla
                 mancanza di un erede maschio. La controversia con il Papa, in merito alla cosiddetta “questione del
                 divorzio”,  si  protrasse  per  sei  anni,  fino  a  che  il  Re,  impaziente  quanto  ostinato,  non  si  risolse  a
                 risolverla  in  modo  drastico,  facendo  annullare  l’unione  con  Caterina  dal  nuovo  Arcivescovo  di
                 Canterbury, Thomas Cranmer, che subito dopo lo univa in matrimonio con Anna Bolena (1533), da
                 lui amata per anni. Consumata così la rottura con Roma, questa fu formalizzata l’anno successivo
                 con l’Atto di Supremazia, che poneva il Re a capo della Chiesa d’Inghilterra. Da questo momento
                 Enrico,  incurante  della  scomunica,  si  dedicò  (suo  malgrado)  a  dar  nuovo  impulso  alla  Riforma
                 protestante, assistito da ministri di grande levatura, quali Cranmer e Cromwell. La dissoluzione dei
                 monasteri (1536-1540) aumentò i mezzi finanziari e il potere della corona, garantendole la lealtà di
                 un  vasto  ceto  nobiliare  che  dalla  redistribuzione  delle  proprietà  della  Chiesa  aveva  tratto  immensi
                 vantaggi. Ma non mancarono resistenze all’affermarsi del nuovo ordine; il che portò a una serie di
                 esecuzioni capitali: e fra i primi a salire sul patibolo (1535) fu la nobile figura di Sir Thomas More, che
                 nel  1529  aveva  sostituito  Wolsey  come  Gran  Cancelliere  del  regno.  Da  questo  momento  il  Re
                 comincia  a  perdere  simpatie  nell’opinione  pubblica:  alle  condanne,  spesso  arbitrarie,  di  personaggi
                 scomodi  si  sommano  le  ben  note  vicende  matrimoniali,  e  la  leggenda  del  Re-tiranno  viene  a
                 coincidere con quella del Re-Barbablù. Anna Bolena è giustiziata nel 1536, Jane Seymour muore nel
                 1537 nel dare alla luce il sospirato erede maschio, Anna di Cleves è sposata e ripudiata nel 1540,
                 Catherine Howard sarà decapitata nel 1542, e solo con la sesta moglie, la docile Catherine Parr, il
                 Re,  avviato  peraltro  a  un  rapido  tracollo  fisico,  riuscirà  a  convivere.  Dalla  caduta  di  Cromwell  −
                 anch’egli  decapitato  (1540)  −  governerà  virtualmente  da  solo  in  un  crescente  isolamento
                 psicologico. Una promessa mancata, quella di Enrico VIII: una figura di dominatore che non riuscì
                 mai, tuttavia, a controllare gli eventi, il suo nome resta comunque associato alla grande fioritura del
                 Rinascimento inglese e alla vittoria della Riforma in Inghilterra.
                 Sir  Thomas Lovell (?-1524), in questa scena una presenza muta, era stato uno fra i più ascoltati
                 consiglieri di Enrico, prima dell’irresistibile ascesa di Wolsey.
              13 I,  ii, didascalia dopo  il  v.  8  La  Regina  è  Caterina  d’Aragona  (1485-1536),  figlia  di  Ferdinando  II
                 d’Aragona  e  Isabella I  di  Castiglia  e  sposa,  nel  1501,  del  principe  Arturo,  il  quindicenne  erede  di
                 Enrico VII,  spentosi  a  pochi  mesi  dalle  nozze:  le  quali,  secondo  la  Regina,  non  furono  mai
                 consumate  (questione  fra  le  più  controverse  nella  futura  causa  di  divorzio).  Per  non  perdere  la
                 ricchissima dote negoziata coi reali di Spagna (altra vicenda che dette adito a un lungo contenzioso
                 diplomatico) ella fu subito fidanzata al secondogenito Enrico, allora dodicenne, che la sposò appena
                 salito  al  trono  (1509)  all’età  di  18  anni.  La  ventennale  unione  sembrò,  nei  primi  anni,  serena  e
                 armoniosa,  e  la  Regina,  che  possedeva  qualità  morali  e  intellettuali  di  prim’ordine,  seppe  anche
                 guadagnarsi  l’affetto  dei  suoi  sudditi  (e  non  a  caso  il  Re,  una  volta  caduta  in  disgrazia,  vorrà
                 relegarla in una residenza fuori mano, lontana dagli occhi e dal cuore della gente). Tra il 1510 e il
                 1518 ella mise al mondo sei figli, tutti nati morti o morti nella prima infanzia, con l’eccezione di Maria,
                 che  sarà  poi  regina  d’Inghilterra  tra  il  1553  e  il  1558.  Il  desiderio  (e  la  necessità  dinastica)  di  un
                 erede  maschio  fu  la  causa  prima  dei  tentativi  di  Enrico  di  giungere  a  un  annullamento  del
                 matrimonio: che il Papa di Roma, per ragioni teologiche quanto politiche (la pesante tutela di Carlo V
                 sullo Stato della Chiesa), non poteva e non voleva concedere. L’estenuante controversia diplomatica
                 fu  risolta  unilateralmente  dal  Re  con  una  separazione  (luglio  1531)  sanzionata  da  un  successivo
                 annullamento formale (maggio 1533). Punto di partenza per la “questione del divorzio”, la condanna
                 biblica  (Levitico  e Deuteronomio)  di  chi  si  fosse  unito  con  la  moglie  del  proprio  fratello:  unione  da
                 ritenersi incestuosa e apportatrice di sterilità.
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