Page 1442 - Shakespeare - Vol. 4
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70 III, v, 68 There was three fools è una filastrocca per bambini della quale esistono molte varianti.
71 III, v, 79 sgg. Il discorso che fa qui la Figlia al Maestro potrebbe essere una reminiscenza di Amleto
a Polonio.
72 III, v, 87 Chi passa (per questa strada) era una famosa villotta o canzone a ballo italiana,
conosciuta allora in tutta Europa; bells and bones potrebbe essere l’anglicizzazione di ‘belle e bone’.
73 III, v, 89 Et opus... ignis − «E una fatica portai a termine, che né l’ira di Giove, né il fuoco...».
Citazione dalle Metamorfosi, libro XV, v. 871. Cfr. anche nel sonetto LV di Shakespeare Nor Mars
his sword, nor war’s quick fire...
74 III, v, 100 cold beginning. Teseo scherza sul ripetuto hail del Maestro. Hail è un saluto, ma è anche
la grandine. Il povero discorso vacuo e pretenzioso del Maestro che scivola subito nei distici a rima
baciata, è un topos elisabettiano (cfr., per esempio, Sogno d’una notte di mezza estate); non si
può dire, tuttavia, che la corte (Teseo, in questo caso) brilli per battute eleganti.
75 III, v, 117-118 Morr e Is (ice) fanno sulla scena una sciarada vivente per dire Morris (moresca).
Fatalmente inadeguata la resa del traduttore che è ricorso a «moro» ed «esca», come lo è la resa
di from post to pillar del v. 114, che è un po’ come dire “da Ponzio a Pilato”.
76 III, v, 124 sgg. La situazione e i personaggi sono presi dalla Masque of the Inner Temple and
Gray’s Inn (1613): omaggi e allusioni tra letterati e teatranti erano frequenti allora come oggi.
77 III, v, 130 beest-eating clown, l’edizione in-quarto ha beast. Beest è correzione di H. Kökeritz (cfr.
Bibliografia). Si tratta del latte denso della mucca che ha appena figliato (il “colostro”) e che era
considerato malsano dagli elisabettiani e potabile solo per il clown, cioè il rustico.
78 III, vi, 31 birthright, diritto per nascita o, anche, primogenitura. Secondo le regole cavalleresche il
più nobile dei due poteva vantare un diritto di precedenza sull’altro nel possesso della bellezza di
Emilia. Nel caso di due cugini, entrambi nobili per nascita, solo le armi avrebbero potuto provare chi
fosse il più nobile.
79 III, vi, 132-135 Bawcutt fa notare che questi quattro versi sono una traduzione abbastanza fedele
dei versi 1710-1713 del Knight’s Tale di Chaucer.
80 III, vi, 158-171 Altro esempio di dialetto giacobita da teatro. La sintassi è contorta, illogica, nodosa,
ma il discorso di Arcite è impressionisticamente chiaro ed efficace.
81 III, vi, 175 thy cousin, Ercole, secondo Plutarco, una delle fonti preferite di Shakespeare.
82 IV, i, 18 news / They are welcome, al contrario dell’inglese moderno, news nel ’500 e ’600 voleva il
verbo al plurale.
83 IV, i, 52-103 Il racconto della pazzia della Figlia del Carceriere fatto dal suo Corteggiatore ha una
certa somiglianza con la morte di Ofelia raccontata da Gertrude (Amleto, IV, vii, 167-184). Nei suoi
ultimi drammi Shakespeare riecheggia situazioni, espressioni e anche versi interi presi in prestito dalle
opere di periodi precedenti, ma in questo caso possiamo presumere che si tratti di un omaggio di
Fletcher al «miglior fabbro».
84 IV, i, 80 Willow, willow, willow è il ritornello di una canzone popolare elisabettiana. La canta
Desdemona in Otello (IV, iii, 40-56). Cfr. anche la nota precedente.
85 IV, i, 86-87 the fair nymph / That feeds the lake with waters fa pensare alla ninfa Aretusa. Il
paesaggio evocato da Shakespeare e Fletcher è qui arcadico alla Euphues. Iris era la dea
dell’arcobaleno.
86 IV, i, 107-108 The Broom e Bonny Robin sono canzoni popolari inglesi del ’500. Ofelia canta alcuni
versi di Bonny Robin quando perde la ragione (Hamlet, IV, v, 187; cfr. anche nota 83). Sia Ofelia
che la Figlia del Carceriere abbassano la guardia inibitoria nella loro pazzia d’amore e s’esprimono in
termini e canzoni francamente sensuali.